XXXI° Domenica del tempo ordinario

Anno Liturgico B
11 Novembre 2012

Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri

LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

PRIMA LETTURA Dal primo libro dei Re (1Re 17,10-16)

In quei giorni, il profeta Elìa si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elìa le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».
Quella andò e fece come aveva detto Elìa; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elìa.

Dal Salmo 145 (146)
R. Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

SECONDA LETTURA – Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare

“Dio manifesta la sua volontà in svariati modi.”
Dai «SERMONES» di Sant’Agostino, vescovo
(Discorsi al popolo 11-2-0)

2. Ho detto questo in riferimento alla lettura del libro dei Re, che per prima abbiamo ascoltato (Cf. 1 Re 17, 8-16). Forse Dio aveva smesso di nutrire il suo servo Elia? Non lo servivano, in mancanza degli uomini, i volatili? Non gli portava un corvo pane al mattino e carne alla sera (Cf. 1 Re 17, 4-6)? Da qui Dio fa capire che può nutrire i suoi servi donde vuole e come vuole. E tuttavia, perché quella pia vedova potesse nutrirlo, lo fece diventare bisognoso. L’indigenza di un’anima santa si cambiò in abbondanza per l’anima pia. Non poteva Elia con la misericordia di Dio dare a se stesso quanto diede alla piccola brocca? Da qui vedete, e la cosa è chiara, che alle volte i servi di Dio non posseggono perché siano messi alla prova coloro che posseggono. Quella vedova però non aveva niente. Quanto le era rimasto era terminato e lei era in attesa di morire con i suoi figli. Uscì a raccogliere due legna per farsi una focaccia, e in quel mentre la vide Elia. L’uomo di Dio la vide proprio mentre lei stava cercando le due legna. Quella donna era figura della Chiesa. E poiché due legni formano una croce, colei che stava per morire cercava di che poter vivere per sempre. Intuito il mistero nascosto, Elia le rivolge la parola udita da Dio. Ella narra la sua situazione, dice che dovrà morire, dopo che avrà consumato quanto le rimaneva. Dove è allora la parola detta da Dio ad Elia: Va a Sarepta di Sidone; lì ho incaricato una vedova di nutrirti (1 Re 17, 9)? Osservate come Dio dà le disposizioni: non all’orecchio, ma nel cuore. Leggiamo forse che un qualche profeta sia stato inviato da quella donna a dirle: “Ecco – dice il Signore – verrà a te un mio servo affamato, nutrilo con quello che hai; non temere la penuria: io rifonderò quanto avrai dato”? Non leggiamo che le sia stato detto questo. Né leggiamo che le sia stato inviato in sogno un angelo e le abbia annunciato che stava per arrivare Elia affamato e che qualcuno abbia esortato la donna a nutrirlo. Dio invia i suoi ordini in modi mirabili, lui che parla con il pensiero. Diciamo che Dio ha dato i suoi ordini parlando nel cuore, ispirando ciò che bisognava fare, convincendo l’anima razionale, la donna vedova, a fare quanto era opportuno fare. Così leggiamo anche nel libro dei profeti che Dio comandò ad un verme di rodere la radice di una zucca (Cf. Gv 4, 7). Che cosa significa: “Comandò” se non: “Predispose il suo cuore”? Per ispirazione del Signore dunque quella donna vedova aveva il cuore pronto ad obbedire. Con l’animo così disposto era venuta, e così parlava con Elia. Colui che risiedeva in Elia nel fare la richiesta, risiedeva anche nella vedova perché acconsentisse. Va’- le disse – fammi anzitutto (1 Re 17, 13) [una focaccia], pur nella tua indigenza; non verranno meno le tue ricchezze. Tutto il patrimonio della vedova era costituito da un poco di farina e un poco di olio. Questo poco non si esaurì. Chi, se ha un podere, lo ha tale [che non si esaurisce mai]? Volentieri la vedova nutriva il servo di Dio affamato, perché tutto il suo patrimonio era appeso ad un chiodo. Che cosa di più felice di questa povertà? Se qui riceve una tale ricompensa, quale ne dovrà sperare per la fine?.

Trascrizione dell’Omelia

Saremmo certo indotti a fare una lettura un po’ moralistica, romantica, di questa povera vedova che mette i due spiccioli, alla faccia di tutti gli altri che invece vi hanno messo l’abbondanza della loro realtà superflua, come dire, quello che non gli occorre per vivere. Ma io, per capire bene questa categoria, vorrei tornare all’Antico Testamento, cioè vorrei ricontestualizzare questo problema della vedova dentro l’economia della salvezza, dove tutto si può comprendere alla luce e della rivelazione del Figlio di Dio e del cammino che tutto Israele ha fatto fino al compimento del tempo.
Dovremmo ricordarci di una cosa, dovremmo ricordarci di una figura che compare tra i profeti ed è quella di Israele, di Sion, come di una sposa che Dio si è scelta. Se l’è scelta non in mezzo ad un harem di bellissime donne. Se l’è scelta perché voleva farne la sua sposa, non per meriti speciali. Questa Sion rappresenta da una parte la creazione: il Dio creatore guarda alla creazione come all’oggetto del suo amore, come al luogo dove Egli un giorno desidererà cominciare a manifestarsi, dunque sceglie la creazione, la sposa, non l’ha solo messa in essere ma le ha anche donato una dignità.
Poi, potremmo dire che Dio sposa Sion, cioè, si crea, si fa un popolo, una sposa, che è pronto, che è disposto ad accoglierlo al momento opportuno, quando Egli si vorrà rivelare.
Queste categorie racconteranno tutta la storia del popolo di Israele: tutte le volte che Dio guarderà Sion, la guarderà sempre come una sposa infedele, come una sposa adultera, una sposa che ritorna, sempre come una consorte e qua si capisce meglio. Se io sono Dio, colei che chiamo ad essere con-sorte con me, ad avere un consorzio con me, questa è chiamata anche a ricevere questa divinità, questa santità, a prendere su di sé questa gloria che io voglio donarle sposandola. E noi abbiamo cantato anche nel Cantico dei Cantici questo continuo cercarsi dello sposo e della sposa, guardando al cuore di questo rapporto, che non è un rapporto fatto di sentimenti o non so di che altro, è un rapporto dove i due quasi quasi si specchiano l’uno nell’altra e quando l’altra non rimanda l’immagine dello sposo, costui la cerca con ancor più fervore e non si scandalizza quando la trova in flagrante adulterio, ma la risposa.
Ma potremmo dire che anche la Chiesa fa questa esperienza, in tutte le epoche nonostante conosca anche il peccato e si macchi (non sto parlando della Chiesa come pensate voi, sto parlando di tutta la Chiesa, perché tutta la Chiesa vive la gloria di Dio e si macchia del peccato degli uomini, tutta, quella gerarchica e quella che è rappresentata da tutto il popolo di Dio, quindi anche noi), eppure tutte le volte che ricorriamo a questo rapporto e ricordiamo a Dio dove ci ha sposati, dove ci ha cercati come dice il Cantico, tutte le volte che glielo ricordiamo Lui ci riaccoglie di nuovo, ci risposa di nuovo, si ricorda dei giorni della nostra giovinezza.
Questa è la categoria, poi i cristiani diranno: “Anche io come membro della Chiesa posso dire di essere entrato anche nel peccato, di essere entrato nella lontananza da Dio, di averlo tradito, di essere stato infedele, ma devo anche dire che tutte le volte che l’ho cercato Egli mi ha raccolto, mi ha perdonato, mi ha rialzato, mi ha ridato una dignità, ha mostrato di volermi sposare di nuovo”. Questa è la storia, questo è il quadro dentro il quale noi possiamo osservare il tracciato di questa sera. Ora tu prendi questa Sion, che gode di questa certezza, di questa forza dello sposalizio mistico con Dio e allo stesso tempo sperimenta il peccato e l’adulterio. Lo sperimenta ad esempio, durante l’esilio, durante la carestia, nella lettura che abbiamo ascoltato questa sera del Primo Libro dei Re (1Re 17,10-16). Quando il profeta Elia va a cercare la vedova è un tempo in cui Israele sta lontano dalla benedizione, perché è un popolo che si è pervertito, perché è un popolo che ormai si è preparato alla deportazione e vive la deportazione, è un popolo che quasi quasi non ha più il Tempio, non ha più la propria identità, non ha più qualche cosa che lo possa far riconoscere subito. Allora vive una situazione di vedovanza, pensa ad una sposa destinata ad avere tutto dal suo sposo, in un momento in cui questo sposo non ce l’ha più: è una vedova. Allora l’uomo che va verso questa vedova, se le riconosce la dignità che Dio le ha dato, la onorerà, se non riconosce questa dignità, tenterà di toglierle anche quello che ha. Allora il profeta che va dalla vedova in un momento di carestia, trova questa donna ormai con poco, l’orcio dell’olio è arrivato ormai al limite e la farina nella dispensa è pochissima. Il profeta va da questa donna e le dice: “Dammi da mangiare, cuoci per me una focaccia” (1Re 17,13), cioè, “metti a disposizione quel poco che hai”, e questa gli risponde concretamente: “Ma Signore, se ti do questo moriremo, abbiamo solo questo io e mio figlio, l’orfano”. Sono due categorie che in tutto l’Antico Testamento sono al centro dell’interesse dell’Onnipotente: l’orfano e la vedova. Allora che cosa potrebbe farci pensare questa immagine? Chi è costui che viene a casa a chiederti tutto quello che hai e non possiedi più nulla, in un momento di evidente carestia? E’ uno che viene a sgraffignarti qualcosa? Per tradurlo nella logica tua di oggi, questa Parola di Dio che ti raggiunge, questa profezia di Dio (questa è la parola, che ti raggiunge) che cosa viene a fare? A riconoscere la tua dignità e a rialzarti o a stigmatizzare il tuo peccato e ad allontanarti? Capiscilo bene, perché quello che accadrà sarà la tua fortuna o la tua malasorte per sempre. Allora attenzione, la vedova secondo il cuore di Dio, si fida dell’uomo di Dio, si fida della Parola che le viene incontro, volentieri la fa entrare, la alberga, pur avendo consapevolezza di non possedere nulla da dargli. Qual è il premio di questa vedova di Sarepta di Sidone che non è neanche ebrea? Che l’olio nell’orcio non finisce e la farina nel tino non finisce e per tutto il tempo della carestia fino a quando il Signore vorrà tornare a dare benedizione al suo popolo, queste risorse rimarranno: segno da una parte della memoria che Dio ha della realtà che si è sposato, anche in momenti di grande difficoltà, e dall’altra della fede della sposa che pur non vedendo faccia a faccia il suo sposo, si fida che la manterrà in vita. Questo è l’Antico Testamento, il “vecchio patto” diremmo così, ma entriamo nella logica nuova in cui Cristo è già presente. Allora Gesù dice: “Bene, volete sapere come vi siete pervertiti? Così, vi siete dimenticati di tutta questa logica, della fedeltà di Dio alla sua sposa anche quando è vedova, quando è orbata della visione del suo sposo, in un momento come questo” (al tempo di Gesù, tutte le condizioni erano sfavorevoli per la sovranità del Dio di Israele in mezzo al suo popolo, per molte ragioni storiche e politiche in cui il popolo versava ed in cui Gerusalemme si trovava). In quel momento la vedova che mette i due spiccioli mostra di essere l’Israele che è pronto ad essere sostenuto da Dio. I ricchi che pongono nel tesoro il loro superfluo sono quelli che hanno già messo fuori Dio dal rapporto di provvidenza, che hanno già stabilito in cuor loro che questo Dio sarà utile ma fino ad un certo punto, si aiuteranno prima che Dio li aiuti, proprio come diciamo noi tante volte. Adesso tu riprendi queste categorie tutte insieme e per un attimo, come accadde per Osea a cui fu chiesto di sposare una prostituta (Os 1,2) o per Ezechiele che rimase vedovo come un segno in mezzo al suo popolo (Ez 24,18): per un attimo mettiti addosso le vesti della vedovanza, guardati dentro questa Chiesa in un tempo in cui ti è stato tolto il tuo bene, in cui la gloria di Dio non appare, non si vede, non si trasmette e gli uomini calpestano questo sale diventato insipido, come brecciolino. Che farai? Adultererai perché non ti ricordi più della fedeltà di Dio o lo attenderai come la sposa del Cantico, nell’attesa che venga a riscattarti da questa situazione in cui versi? Ma a parte la storia del popolo di Dio, tu, anima di Dio, battezzato, nella situazione in cui ti trovi, cosa porti dentro il tuo cuore? La speranza e l’attesa che Dio venga a colmare ciò che manca alla tua dignità in questo momento in cui forse sei stato orbato di qualche bene, perché sei rimasto vedovo o vedova davvero, perché non hai più lavoro e anche quello ti rende vedovo, non hai più un’occupazione, non hai più un figlio o una figlia perché se ne sono andati o sono morti, che non hai più qualche cosa su cui contavi? Qual è la tua posizione davanti a Dio e davanti alla storia? Sei uno che aspetta e lascia entrare la Parola anche sapendo di aver poco, nell’attesa che questa Parola venga a riscattarti perché è potente in sé poiché viene da Dio? La fai entrare? Oppure la guarderai con sospetto e ti metterai nel novero di chi guarda la storia e dice: “Dio si è dimenticato”? Se tu facessi così Dio verrebbe con i profeta Isaia a dirti: “Ma se anche una madre si dimenticasse del proprio figlio, del figlio che allatta”, che è già una cosa straordinaria da fare, “io però non mi dimenticherò di te, io ti porto tatuata sul palmo della mia mano, la tua sorte è la mia sorte, io ho reso la mia sorte come la tua sorte” (cfr. Is 49,13-16). Quando guardiamo il Figlio di Dio, questo ci appare chiarissimo, palese, manifesto, totalmente vero: chi guarda il Figlio di Dio crocifisso dice: “Ma veramente tu Dio, ti sei spogliato quasi di te stesso, se così si può dire e hai assunto le sembianze mie, vivendo l’espropriazione totale e anche l’obbrobrio che io porto nel cuore e per il quale io soffro ogni giorno. Veramente tu mi hai sposato, come direbbe Geremia, veramente tu mi hai amato di amore eterno e per questo motivo tu mi conservi ancora pietà” (cfr. Ger 31,3) e questo è decisivo, lo capite? Qua si giocano le carte della speranza: far entrare ancora una profezia e riconoscerla come tale oppure rifiutarla? Far entrare la vita come una proposta per la vita o rifiutarla per restare nelle tenebre della morte? Ma Dio, che è Dio dei vivi e non dei morti, ci ha già chiamati e convocati, ci ha già sposati con una vocazione santa, ci ha fatto uscire dalle tenebre e dalla tomba di morte nella quale versavano le nostre povere speranze (Sal 88,7) e ci ha inserito con Cristo, ci ha nascosti nel suo cuore, finché nel giorno ultimo farà splendere la nostra dignità davanti a tutti i popoli.

Sia lodato Gesù Cristo.

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