I have a dream

Duke Ellington incontra Martin Luther King
09 Febbraio 2017

#8 1973: La magia dell’ultimo concerto sacro, l’immensa eredità di Ellington (seconda parte)

 

In queste ultime due puntate della serie, dedicata alla straordinaria figura di Duke Ellington, il maestro Agostino Marzoli* ci presenterà il meraviglioso terzo concerto sacro, probabilmente quello che si può considerare il sublime “canto finale” del grandissimo artista, culmine di una carriera a dir poco incredibile per qualità e quantità di produzione musicale. Per raccontare questo evento il maestro Marzoli ci ha riservato un regalo intervistando direttamente addirittura due artisti che lavorarono con Ellington, Bob Freedman** e Art Baron***, i quali ci parleranno, attraverso alcuni estratti forniti dal maestro Marzoli, della loro esperienza con il grande Duke.

Dopo il trionfo del Secondo Concerto Sacro, nel 1973 Ellington viene invitato ancora una volta a comporre un nuovo concerto di musica sacra. Forse è il meno conosciuto dei tre concerti e a differenza dei primi due, gioiosi e a tratti esplosivi, è attraversato da toni anche cupi.

Sappiamo infatti che esso venne eseguito tra mille difficoltà e la critica non accolse molto positivamente l’evento. L’invito, questa volta, Ellington lo ricevette dall’allora presidente di turno dell’ONU, Sir Colin Crowe e il tutto fu patrocinato dall’Unesco.

Negli anni molti degli uomini dell’orchestra erano cambiati e Ellington cominciava a subire le conseguenze di un tumore che lo portò pochi mesi dopo alla morte, nel maggio 1974. Dovette annullare diverse date in agenda antecedenti la prima, che si tenne a Londra, il 24 ottobre 1973 nell’Abbazia di Westminster. Il compositore confessò in quei giorni al figlio Mercer, manager e trombettista dell’orchestra, di temere per la riuscita dell’esecuzione e di non essersi mai trovato così impreparato ad un evento così importante. Le continue assenze del leader, ormai sempre più spesso nelle camere d’ospedale, non consentirono all’orchestra di fare sufficienti prove; per aggiungere ulteriori difficoltà all’impresa, solo il giorno prima, Ellington venne a sapere che Paul Gonsalves, storico primo sax tenore dell’orchestra, uno della vecchia guardia, non avrebbe potuto presenziare al concerto in quanto colpito da un malore dovuto al suo vizio per l’alcool.

Il Duca tuttavia non fu mai un uomo arrendevole e, nonostante tutte queste avversità, riuscì a effettuare il concerto secondo programma. Le parti non furono provate a sufficienza dai musicisti, ma si avvertì in tutti comunque una forte partecipazione emotiva. Ancora una volta, sarà Alice Babs la protagonista assoluta del concerto.

Rispetto agli altri due, questo concerto, ha un carattere molto meno festoso e molto meditativo e intimo, con poco spazio ai solisti dell’orchestra, mentre sono le voci (della Babs e del coro) a risaltare più di tutte. E sono proprio le voci le protagoniste del brano principale: “Every Man Prays In His Own Language”, che meglio di tutti forse rappresenta anche lo spirito religioso di Duke Ellington. In realtà questo titolo racchiude sei differenti sezioni, che riguardano il coro da solo, l’orchestra e la Babs. La parte di quest’ultima, cantata a cappella, sembra quasi un canto gregoriano. A seguire vi è un intervento di un flauto dolce da solo, suonato dal trombonista Art Baron. In seguito, la Babs canta un tema senza testo accompagnato in modo delicato e preciso dall’ottimo John Alldis Choir.

Il brano si conclude con le parole dello stesso Ellington: “Quando le onde del mare infuriano durante una violenta tempesta e il capitano dà l’allarme di abbandonare la nave, siamo sicuri che l’oceano non abbia semplicemente avuto voglia di dimostrare il Salmo 150?”. E poi: “Quando un neonato inizia a strillare dopo che il dottore gli ha dato la prima sculacciata, siamo certi che quel bambino non stia cercando di dire Grazie, Dio?”

cop* Agostino Marzoli, musicista, insegnante ed esperto di jazz, si è diplomato in basso tuba al conservatorio “G. Rossini” di Pesaro. Ha svolto un’intensa attività concertistica sia in formazioni da camera che in orchestre sinfoniche con le quali ha partecipato anche a numerose tournée internazionali. Ha inciso un album di musica contemporanea elettroacustica e suonato in vari progetti artistici, spaziando dal jazz al teatro di prosa. Parallelamente alla sua attività di musicista si occupa di progetti di divulgazione musicale e alla didattica della musica. È da sempre appassionato e studioso di jazz e, nello specifico, ha focalizzato il suo interesse sulla musica di Duke Ellington, del quale possiede un’ampia collezione discografica e bibliografica.

** Bob Freedman è un arrangiatore e compositore jazz molto tutt’ora molto attivo in America. Nel 1963, fu chiamato a suonare il sax e il clarinetto nell’orchestra di Duke Ellington per lo spettacolo My People.

*** Art Baron è un trombonista jazz americano ancora attivo, l’ultimo a suonare nell’orchestra di Duke Ellington e in particolare nel terzo concerto sacro del 1973.

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