A che cosa debbo che la madre del mio Signore venga da me?
LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura
Allelulia
Eccomi sono la serva del Signore:
avvenga di me quello che hai detto.
Allelulia
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
PRIMA LETTURA – Dal libro del profeta Michèa (Mi 5,1-4a)
Così dice il Signore:
«E tu, Betlemme di Èfrata,
così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me
colui che deve essere il dominatore in Israele;
le sue origini sono dall’antichità,
dai giorni più remoti.
Perciò Dio li metterà in potere altrui,
fino a quando partorirà colei che deve partorire;
e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele.
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore,
con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande
fino agli estremi confini della terra.
Egli stesso sarà la pace!».
Dal Salmo 79 (80)
R. Fa’ splendere il tuo volto e salvaci Signore.
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci. R.
Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. R.
Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. R.
SECONDA LETTURA – Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Ebrei (Eb 10,5-10)
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice:
«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà”».
Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare
“Il Verbo che s’è fatto carne ci rende simili a Dio”
Dal trattato «La condizione di tutte le eresie» di sant’Ippolito, sacerdote
(Cap. 10, 33-34; PG 16, 3452-3453)
Noi crediamo al Verbo di Dio. Non ci appoggiamo su parole senza senso, né ci lasciamo trasportare da improvvise e disordinate emozioni o sedurre dal fascino di discorsi ben congegnati, ma invece prestiamo fede alle parole della potenza di Dio.
Queste cose Dio le ordinava al suo Verbo. Il Verbo le diceva in parole per distogliere con esse l’uomo dalla sua disobbedienza. Non lo dominava come fa un padrone con i suoi schiavi, ma lo invitava a una decisione libera e responsabile.
Il Padre mandò sulla terra questa sua Parola nel tempo ultimo poiché non voleva più che parlasse per mezzo dei profeti, né che fosse annunziata in forma oscura e solo intravista attraverso vaghi riflessi, ma desiderava che apparisse visibilmente in persona. Così il mondo contemplandola avrebbe potuto avere la salvezza. Il mondo avendola sotto il suo sguardo non avrebbe più sentito il disagio e il timore come quando si trovava di fronte a un’immagine divina riflessa dai profeti, né avrebbe provato lo smarrimento come quando essa veniva resa presente e manifestata mediante le potenze angeliche. Ormai avrebbe constatato di trovarsi alla presenza medesima di Dio che parla.
Noi sappiamo che il Verbo ha preso un corpo mortale dalla Vergine, e ha trasformato l’uomo vecchio nella novità di una creazione nuova. Noi sappiamo che egli si è fatto della nostra stessa sostanza. Se infatti non fosse della nostra stessa natura, inutilmente ci avrebbe dato come legge di essere imitatori suoi quale maestro. Se egli come uomo è di natura diversa perché comanda a me nato nella debolezza la somiglianza con lui? E come può essere costui buono e giusto?
In verità, per non essere giudicato diverso da noi, egli ha tollerato la fatica, ha voluto la fame, non ha rifiutato la sete, ha accettato di dormire per riposare, non si è ribellato alla sofferenza, si è assoggettato alla morte, e si è svelato nella risurrezione. Ha offerto come primizia, in tutti questi modi, la sua stessa natura d’uomo, perché non ti perda d’animo nella sofferenza, ma riconoscendoti uomo, aspetti anche per te ciò che il Padre ha offerto a lui.
Quando tu avrai conosciuto il Dio vero, avrai insieme all’anima un corpo immortale e incorruttibile; otterrai il regno dei cieli, perché nella vita di questo mondo hai riconosciuto il re e il Signore del cielo. Tu vivrai in intimità con Dio, sarai erede insieme con Cristo, non più schiavo dei desideri, delle passioni, nemmeno della sofferenza e dei mali fisici, perché sarai diventato dio. Infatti le sofferenze che hai dovuto sopportare per il fatto di essere uomo, Dio te le dava perché eri uomo. Però Dio ha promesso anche di concederti le sue stesse prerogative una volta che fossi stato divinizzato e reso immortale.
Cristo, il Dio superiore a tutte le cose, colui che aveva stabilito di annullare il peccato degli uomini, rifece nuovo l’uomo vecchio e lo chiamò sua propria immagine fin dall’inizio. Ecco come ha mostrato l’amore che aveva verso di te. Se tu ti farai docile ai suoi santi comandi, e diventerai buono come lui, che è buono, sarai simile a lui e da lui riceverai gloria. Dio non lesina i suoi beni, lui che per la sua gloria ha fatto di te un dio.
Trascrizione dell’Omelia
Con questo brano del Vangelo di Luca, che ci ricorda la visita della beata Vergine Maria a santa Elisabetta, uno di misteri più cari della nostra pietà, della nostra preghiera del rosario, ci avviciniamo al mistero del Natale. Siamo nel momento in cui Maria verifica, non perché non ci credesse, ma verifica, cioè celebra una verità che ha appena accolto dall’arcangelo Gabriele. L’arcangelo le ha detto che questa condizione di impossibilità del suo concepimento verginale ha in qualche modo una risonanza in un fatto della storia che le è vicino e che accade in sua cugina Elisabetta, che già sta aspettando un bambino, già è al sesto mese, già è pronta, lei che era sterile ed ormai nella sua vecchiaia. Allora Maria celebra questa verità andando a trovare Elisabetta, per poter dire: “Veramente Dio è grande!”. Appena giunge da Elisabetta, abbiamo ascoltato, quest’ultima esclama queste parole: “Come mai che la madre del Signore venga a me? Ecco appena ho sentito la tua voce qualcosa si è mosso dentro di me, il mio bimbo ha esultato dentro di me” (Lc 1,42-44) e dice Luca che Elisabetta fa questo piena di Spirito Santo. Questo è un linguaggio che noi comprendiamo per immagini fino ad un certo punto, ma credo che sia opportuno e buono che noi ci avviciniamo a questo linguaggio per vedere cosa mutuare per la nostra vita e come è questa visitazione nella nostra esperienza di fede. Sapete, Maria che raggiunge Elisabetta non è una donna che è rimasta incinta e basta, Maria che raggiunge Elisabetta è una donna che ha obbedito alla Parola del Signore che ha ascoltato, dunque è una donna che sta portando a compimento, attraverso la sua obbedienza, un progetto di Dio. Questo progetto di Dio lo porta fino ad Elisabetta, lo conduce fino a casa di questa sua cugina. E’ come se portasse la logica, la parola di Dio dentro di sé – e così è in effetti – e la facesse arrivare fino alla capacità di Elisabetta di comprendere questo intervento di Dio. Solo perché c’è lo Spirito Santo Elisabetta si può accorgere che Maria porta con sé qualcosa di speciale, che la coinvolge, che le cambia la vita, che in qualche modo la coinvolge dentro una celebrazione della magnificenza, della grandezza dell’Onnipotente. Allora come la possiamo tradurre noi per la nostra vita? Quando ci giunge una Parola, qualche volta ci giunge dentro mezzi che non sono eclatanti, non sono così meravigliosi, ci giunge per esempio attraverso la predicazione. La predicazione è come la Vergine Maria, perché la predicazione è stata sposata dal Verbo di Dio, è stata fecondata dallo Spirito e può far arrivare alle tue orecchie il Verbo pronunciato prima della creazione. La predicazione, nella sua semplicità, nella sua stoltezza come dice san Paolo (cfr. 1Cor 1,21) – perché la predicazione la può fare chiunque, la posso fare anch’io – porta con sé un annuncio che è più grande di chi predica, di chi parla, di chi lo porta. Un annuncio che ha un potere: questo potere, incredibile, viene da Dio, questo potere può esplicitarsi in un surplus di grazia, può esplicitarsi dentro la storia di chi ascolta e accoglie questa predicazione come un cambiamento di vita, come la nascita di una speranza nuova.
Allora quando la Parola viene a noi, attraverso la predicazione, noi possiamo dire come Elisabetta: “Come mai, Signore, hai mandato fino a me la tua Parola? Perché mi hai pensato? Perché mi hai convocato? Perché mi hai reso degno di ascoltare un annuncio che, a dire il vero, nella mia umanità io non comprendo? Anzi nella mia umanità ho detto: non conosco questa realtà, come è possibile che io la concepisca? Come è possibile?”. L’abbiamo già visto insieme, quando l’arcangelo Gabriele annuncia a Maria (Lc 1,34).
“Ora tu mi stai portando attraverso la Tua Madre santissima, mi stai portando un annuncio, attraverso la Chiesa, attraverso la predicazione, tu metti nel mio cuore, nelle mie orecchie e anche nelle mie labbra una parola nuova che ha la capacità di cambiare me, di cambiare le relazioni, di cambiare il tempo che viene, di cambiare la speranza degli uomini, di costruire strutture di pace, strutture di riconciliazione, strutture che veramente possono dare al mondo un volto nuovo. Come mai che vieni a me in questo modo?”.
“Ecco quando io quando ho ascoltato questa parola”, direbbe Elisabetta, “poiché lo Spirito Santo che la Chiesa mi offre, mi regala per comprendere qual è il senso del Tuo annuncio, io ho capito che questa non è una parola qualsiasi, che questa realtà non è un Figlio nel grembo della Vergine Maria solamente, ma che è una parola che ha questo potere. Dunque io sento dentro di me il mio progetto personale, sento la vocazione che tu hai posto dentro di me muoversi, articolarsi. Anzi mi accorgo che prende carne, prende solidità, prende significato: questa vocazione si sta esprimendo, si sta compiendo, si sta mostrando proprio da quando è arrivato questo annuncio fino a me. Allora sento il tuo progetto dentro di me muoversi, articolarsi, capisco che questo è un momento importante e questo momento mi cambierà”. Quando un uomo ha la capacità di accogliere una parola che viene da Dio con questi sentimenti, con questa attenzione e con questa accoglienza, quella parola genera un tempo nuovo, genera un tempo redento, genera un appuntamento autentico, genera una presenza. Non le presenze quelle che pensiamo noi nel cuoricino, i nostri pensieri devoti su Gesù. No, genera una presenza, una certezza. “Io so”, direbbe san Paolo (2Tm 1,12), “in chi ho creduto, so chi è che sto incontrando e so anche che la mia vita non può essere più la stessa d’ora in poi”. Quando l’anima di un uomo può dire questo, quando può dire: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), sta dicendo: “Beata la Chiesa che ha conservato, custodito e rigenerato di nuovo nella storia, per me, questo Verbo di salvezza. Beato questo luogo, beato questo tempo, beata questa occasione felice, in cui una parola può ancora raggiungermi e cambiarmi”. Allora la Chiesa direbbe, come in una vera liturgia – migliore di quelle che noi riusciamo a fare a volte anche in questi luoghi – come in una vera liturgia la Chiesa direbbe: “E’ vero, l’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46-47). La Chiesa direbbe: “Tutto quello che stai sperando e credendo è vero, ed io verifico nella tua speranza l’autenticità, la bellezza, la grandezza, del messaggio che porto”.
Facciamo un ulteriore passaggio, situiamo tutto ciò in questa realtà: voi siete abituati a fare gli spettatori, distillate qualche pensiero che vi ricordate fino a casa, il tempo che ci vuole per dimenticarsene. Se vi genera qualche sentimento, va bene; se non ve lo genera, quando va bene cambiate chiesa. Questo tu lo hai capito, non è sufficiente, non ti è più sufficiente. Il tuo Natale mancante poggia proprio su questa incapacità di credere che la parola è vera, è autentica, è una presenza e cambia la storia. Tant’è che questa parola che tu ricevi non rinasce nella tua famiglia, non rinasce nelle tue relazioni, muore nel tratto di strada che ti separa da questo luogo a casa tua, alla tua storia di tutti i giorni. Muore asfittica, sepolta da una serie di preoccupazioni oggettive, per carità oggettive (qualche volta sembrano più oggettive, più forti dell’annuncio che hai ricevuto). Muore sotto questo cumulo di macerie della storia.
Pensa, invece, io rappresento un aspetto della Chiesa, della Chiesa che celebra, della Chiesa che offre una parola di salvezza e la rende commestibile, cioè la rende possibile.
Sapete qual è la grandezza di un sacerdote? Mica quella di fare una bella omelia, quella la può fare chiunque. La grandezza di un sacerdote è quella di obbedire ad un paradosso, che è quello di vedere su questo altare il corpo e il sangue di Cristo, donato una volta per sempre anche per questa generazione. Perciò la Chiesa ti direbbe: “Avvicinati, io ti vengo a trovare e ti consegno questo progetto di Dio che diventerà carne, qui sull’altare e dentro i giorni della tua vita, che prenderà carne dentro questa celebrazione, nel momento che ti avvicinerai anche tu ma ancor più sarà visibile, sarà celebrabile addirittura dentro la tua realtà quotidiana”. Allora tu prenderesti questa parola e diresti: “E come mai che la Chiesa viene fino a me a darmi questo dono? Perché si priva di un bene così grande, così meraviglioso? Perché me lo consegna in questo modo così gratuito? Perché me lo dà in un momento apparentemente qualsiasi? In fin dei conti oggi è una domenica prima di Natale, già state pensando a cosa fare domani sera a cena (…forse quest’anno no…). Perché la Chiesa mi consegna un dono così grande dentro la spelonca della mia vita oggi, che non vale niente, la mia vita oggi che è fatta di tante incertezze?
Allora se tu avessi questa meraviglia, quella di Elisabetta, e dicessi: “Appena la tua voce, Signore, è arrivata fino a me, attraverso la tua Chiesa, attraverso la tua Madre che sempre ti genera, ecco che quello che porto dentro di me ha cominciato a muoversi. Ecco che le mie idee si sono ordinate, i miei desideri sono diventati interpretabili, tutto quello che tu hai posto dentro di me si è cominciato a risvegliare, come le ossa aride di Ezechiele (cfr. Ez 37). Tutto sta riprendendo vita dentro di me, come mai?”, la celebrazione avrebbe una risposta vera (non quelle che date voi: “Il Signore sia con voi” – “e con il tuo Spirito…”). Una risposta vera, e allora tutta l’assemblea direbbe: “Come mai me ne vado pieno di Spirito Santo? Come mai me ne vado con un senso in più per interpretare la storia?”.
Allora la Chiesa insieme a te direbbe: “E’ vero, l’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché anche oggi, anche qui, Dio, l’Altissimo, l’inconoscibile, lontanissimo apparentemente e sempre vicino, si è degnato di tornare a visitare la nostra carne, si è ricordato dell’umiltà oggettiva della sua serva”, perché la Sua Chiesa, in questo momento, qui oggi, noi, siamo una realtà umile, meschina, piccola piccola. Chi siamo amici? Chi siamo io e voi, senza la speranza in Cristo risorto? Chi siamo io e voi, senza l’incarnazione del Verbo? Siamo un cumulo di problemi personali, di difficoltà personali, siamo un cumulo di storie spezzate, siamo un vecchiume di speranze sepolte, tant’è che la gente dice: “Ma chi sono questi cristiani? Guardali un po’, sempre tristi”. Chi siamo?
Mentre invece, visitati da questa Parola, diventiamo insieme una realtà che magnifica il Signore, possiamo tornare nella storia a dire: “La mia umiltà, cioè la mia realtà piccola, meschina, di questo momento è una realtà possibile”. Non è più una condizione di impossibilità per l’incarnazione del Verbo, ma è un luogo in cui il Verbo non solo può incarnarsi, ma vuole incarnarsi. Se è così, cosa ti separerà più da questa presenza? Cosa ti terrà più lontano da questa possibilità? Nulla. Il tuo peccato? Figuriamoci. La tua piccolezza? La tua ignoranza? La tua mancanza di cultura religiosa? Che cosa può allontanarti da Dio? Niente.
Se Dio avesse voluto manifestarsi nelle realtà degne non avrebbe scelto la grotta di Bethlehem, non avrebbe scelto il popolo di Israele, non avrebbe scelto il tempo in cui si è incarnato, che era un tempo assurdo, non sceglierebbe ancora un tempo che noi stiamo cercando, che è il tempo della Chiesa. Non lo sceglierebbe più. Direbbe, come dicono i laicisti: “Ormai è finito, che cosa c’è più da sperare, che cosa c’è più da credere?”. Noi veramente non avremmo più niente, la nostra vergogna in mezzo agli uomini rimarrebbe tale e quale.
Noi magnifichiamo invece il Signore, e da ora fino al tempo che ci è dato di vivere, noi ripeteremo questa logica di salvezza, ricamandola in tutte le pezze assurde della storia che ci è dato di incontrare. La ricameremo con questo filo d’oro della speranza, con questa luce della fede, con questa certezza, sicurezza della carità di Cristo che dimora in mezzo a noi.
Sia lodato Gesù Cristo.