XXX° Domenica del tempo ordinario

Anno Liturgico A
23 Ottobre 2011

Amerai il Signore tuo Dio e il prossimo tuo come te stesso

LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

PRIMA LETTURA – Dal Libro dell’Esodo (Es 22,20-26)

Così dice il Signore:
«Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

SECONDA LETTURA – Dalla 1a Lettera ai Tessalonicesi (1Ts 1,5-10)

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia.
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

Trascrizione dell’Omelia

Alla chiarezza evidente di questa logica, così come la abbiamo ascoltata da questo brano del Vangelo [1], corrisponde anche un’altrettanta difficoltà manifesta da parte nostra. Ci piacerebbe che si andasse tutti d’accordo, che ci fosse amore reciproco, però, l’esperienza della vita, non solo non dice questo, ma rivela l’esatto contrario, ed è l’esperienza della quale abbiamo, purtroppo, “beneficiato” tutti. Comprendere questo comandamento, anzi, ritenerlo tale, diventa un’impresa improbabile: vi rendete conto, no? Pensare che addirittura Dio ci comandi di amarlo e di amare il prossimo come noi stessi. E una volta capito, e persino desiderato, che si possa attuare, su questa storia del prossimo avremmo qualche “cosetta” da dire… mica tanto eh… solo per capire bene chi è… bisognerà anche sceglierselo un po’ questo prossimo… e se è proprio quello che ci sbatte in faccia… oddio bisogna vedere, non so se sono proprio d’accordo che ossa amarlo.

Dov’è, allora, il problema: come mai Dio ci comanda, e Gesù ribadisce, che questo è un comandamento, che dobbiamo amare il prossimo, e come è possibile, se è così e difficile.

Forse, questa è un’altra di quelle prove che, come dice il demonio, ci dice che la fede è impraticabile, che Dio ci ha messo in condizioni troppo pesanti, che quello che ci ha messo davanti non è assolutamente possibile per l’uomo. Dio ha fatto questo per renderci lontani da Lui o per rendersi lontano da noi. È un dubbio che abbiamo sempre e lo nutriamo soprattutto quando incappiamo in quelle situazioni in cui l’evidente difficoltà ad amare il prossimo ci viene davanti come una muraglia insopportabile.

Siccome è un comandamento e perciò è buono, siccome è un comandamento che è nella Legge, dunque, fa parte del pensiero di Dio, direi di andarne a scovare insieme la fonte e l’origine per capire per quale motivo anche Gesù ha sposato questa logica, che ci ha ripresentato tout court, affinché anche noi possiamo entrare in questa Sapienza, conoscere Dio faccia a faccia e parlare di Lui senza alcun imbarazzo, come invece vorrebbe il maligno.

Questo modo di pensare viene dal Libro dell’Esodo [2], ascoltato nella prima Lettura, dove la voce di Dio afferma: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. …. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse…”. E poi dice: “Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Qui sta la chiave di comprensione del comandamento dell’amore del prossimo. Entriamo con una parola sapienziale in questa legge, in questa logica espressa nella Torah. Che vuol dire prendere in pegno il mantello del prossimo e renderglielo prima che tramonti il sole, perché non ha di che coprirsi e nel buio, nella notte, nel freddo, potrebbe trovarsi male? Nella mentalità ebraica il mantello dice qualcosa che è adesso all’uomo, che è aderente alla sua realtà, qualcosa che ci ricorda la sua identità. Dunque, prendere in pegno il mantello di un altro, vuol dire chiamarlo in causa, interpellarlo, perché tutta la sua identità sia coinvolta in qualche progetto. Se prendo il mantello di un altro, lo sto cercando perché con me condivida non qualche cosa, non solo un aspetto della mia vita o dei miei progetti, ma tutto il mio progetto. Non chiedo qualcosa, chiedo la sua identità. Potremmo applicare questa figura, per esempio, al matrimonio. Se sposo una persona, sto chiedendo la sua identità, sto domandando a tutta quella persona di entrare in questo piano. Se faccio un figlio, prendo questa realtà e cerco di portare avanti un disegno, così come l’ho pensato e così come Dio me l’ha suggerito. Nella relazione con l’altro, siccome chiedo stima e fiducia e prometto stima, fiducia e rispetto, anche in questo caso, sto parlando proprio dell’identità dell’altro, non di un aspetto qualsiasi, di una realtà che è importante per lui. Avere rispetto dell’altro, considerarne la sua identità, significa non solo valutare la sua dignità oggi, ma anche quello che è il progetto per lui per domani. Sai cosa vuol dire? Te lo dico in maniera semplice perché tu non possa pensare: che sarà mai, io conosco un Pinco Pallino, non mi sembra di vedere questi grandi progetti nella sua vita…”. Ecco, sappi che nell’essere umano che è davanti a te c’è un progetto, che lo fa diventare una persona e lo strappa dalla sua semplice individualità, che dice di lui la possibilità di fare una famiglia, di portare avanti qualcosa, di raggiungere un obiettivo, di costruire qualcosa di buono, di manifestare quello che Dio gli ha posto dentro, perché non esiste un essere umano che non abbia nell’Eterno una prospettiva pensata sin dall’inizio dei tempi.

San Paolo, nel capitolo 8 della Lettera ai Romani [3], scrive: quelli che Dio ha da sempre pensati li ha anche predestinati e quelli predestinati li ha anche chiamati e quelli che ha chiamati li ha anche giustificati e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. Allora, tutti quelli che ha chiamati all’esistenza, ogni persona che noi incontriamo, li ha pensati da sempre e li ha predestinati, ha anche affidato loro un progetto, non un destino come dicono i pagani, un piano alla loro libertà, al loro libero arbitrio, perché lo portino a compimento, per compiere il Regno da una parte e trovare la propria felicità dall’altra.

Questo è il disegno di Dio. Dunque, se hai chiamato l’altro in causa per entrare in una progettualità, abbi rispetto di lui, anche se non ce la fa, anche se a questa progettualità non riesce ad essere fedele. Non applicare la legge del taglione, aspetta che Dio lo metta nelle condizioni di rispondere alla vocazione grandissima con la quale lo ha chiamato al mondo.

Amare il prossimo non significa provare una emozione. Cadiamo sempre qui, perché abbiamo un concetto di amore che non riguarda l’amore. Pensiamo all’amore come ad un’emozione. Siccome sono emozionato, allora ti amo, quando finisce l’emozione non ti amo più. Ma questo non è l’amore. Nessuno ha un figlio e gli dice ti ho amato fino a ieri, stamattina non ti amo più, perciò te ne puoi pure andare, chi direbbe così? Una persona fuori di testa. Una persona che ci sta col senno, anche se il figlio fosse un assassino, direbbe ancora: guarda, non capisco perché lo hai fatto, ma ti amo ugualmente. Questo è l’amore, non finisce, non si estingue l’amore, ciò che si spegne è l’emozione, quella è passeggera, dura pochissimo. Fondare un progetto sull’emozione vuol dire fallire certamente. Considerare una relazione solo in forza dell’emozione è come non iniziarla per niente. Lo comprendi questo, ma se non riuscissi a capirlo, sicuramente lo hai sperimentato. Quante volte? Tantissime volte, ne sei forse persino nauseato.

L’amore non è un’emozione. Ama il prossimo tuo come te stesso significa: se riconosci in te una progettualità, anzi preghi Dio ogni giorno affinché te la confermi, allora, prega Dio che confermi anche quella del tuo prossimo. Siccome dici a Dio che hai un piano da portare a compimento, una via da percorrere, allora, chiedi di vedere anche tu la via che ha da percorrere il tuo prossimo, invece di giudicarlo tutte le volte che sbaglia e che cade.

Ecco la prova del nove, perché tu comprenda bene di cosa stiamo parlando. Quando il Fariseo, di cui parla il Vangelo [4], incontra Gesù gli chiede: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.E Gesù risponde: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” e poi, come per dire conseguentemente, “il prossimo tuo come te stesso”. Tu ami Dio con tutto il cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze? No. Sai perché? Perché pensi che amarlo in questo modo significhi tenere acceso costantemente un falò di emozioni, di sentimenti, per cui pensi sempre a Dio, cerchi sempre Dio, parli sempre di Dio e diventi persino noioso facendo così. Quando ti avvicini alla gente con queste logiche, ci si stufa di sentirti, ma tu stesso ti annoi ad ascoltarti. È questo l’amore di Dio? Amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze è scoprirsi amati da Dio, con una progettualità che viene da Lui, ringraziarlo e restare in relazione con Lui, perché spiani la strada della comprensione, fissi l’appuntamento nella storia e, soprattutto, ti permetta di comprendere, interpretare e superare tutte quelle normali difficoltà che la storia stessa mostra dentro la tua vita, invece di lamentarti.

Amare Dio non può essere un’emozione, non può essere un sentimento. Se comprendi questo, capisci cosa significa amare il fratello, il prossimo. Se sai cosa significa amare il prossimo, sai anche cosa vuol dire amare Dio. A meno che tu non rinunci a tutto questo e segui la catechesi del diavolo che ti dice: guarda, amare Dio non è possibile, ti stancheresti. Amare il prossimo non è giusto, perché il prossimo è cattivo e può tradirti, allora, astieniti da questa cosa e inventati un’altra religiosità, che dia pace alle tue ricerche da quattro soldi, ma che sia allo stesso tempo, però, una religiosità che ti impedisce, formalmente e oggettivamente, di conoscere il cuore di Dio, di penetrare i suoi pensieri, di praticare le sue vie e soprattutto di amarlo e sperimentare di essere amato.

Come Dio non ti giudica, sei chiamato a non giudicare. Come chiedi a Dio di vedere cosa c’è di buono dentro di te, sei chiamato ad isolare cosa c’è di buono nell’altro, anzi a metterlo in evidenza, non con sciocchi formalismi, che non servono a niente, ma nell’amore e nella verità, con la capacità di penetrare pian piano, senza far male, senza schiacciare nulla, senza divellere niente del giardino prezioso dell’interiorità del tuo prossimo, ma come il pescatore di perle che si tuffa per cercare la perla preziosa, anche tu tuffati in questo mare profondo, anche se ti sembra tanto oscuro, della realtà del prossimo, finché non appaia ai tuoi occhi per quale motivo Dio lo ha chiamato e per quale motivo lo sta salvando e perché, soprattutto, lo ha posto sul tuo sentiero, sui tuoi passi, perché tu lo conosca, lo apprezzi e lo ami.

Se comprendi questa logica, dice Gesù [5]: Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”, tutta la Torah, la Bibbia. Se ti metti in queste condizioni, il progetto di Dio lo vedi, lo conosci. San Francesco sta in questa dimensione e scopre costantemente il disegno di Dio coinvolgendo non solo gli uomini, le creature, ma anche gli animali, la creazione, il cielo, le stelle, persino la morte, ogni cosa integrata dentro un’armonia, una sinfonia meravigliosa, che esce dal cuore di Dio, modulata sulle note sublimi dell’Altissimo, che abbiamo conosciuto nella dolcezza del suo Figlio e abbiamo scoperto essere fatta della nostra stessa carne, possibile, praticabile, amabile, autentica, speciale, e semplice e vera, prossima, intima a noi, direbbe sant’Agostino, più che noi stessi. La fede non è più scontata è un sentiero da iniziare. La pratica della fede non è più un luogo di imbarazzo, ma una realtà dove conoscere Dio e praticarne l’amore.

Possa lo Spirito di Dio e l’amore stesso tra il Padre e il Figlio, condurti in questo amore trinitario e farti scoprire questo mistero della vita, che è insito nella stessa nostra realtà umana.

Sia lodato Gesù Cristo.

 

 


[1] Mt 22,34-40.
[2] Es 22,20-26, spec vv 25-26.
[3] Rm 8, 29-30: “Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati”.
[4] Mt 22, 36-37.
[5] Mt 22,40.

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