V° Domenica del tempo ordinario

Anno Liturgico B
05 Febbraio 2012

Guarì molti che erano affetti da varie malattie

LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura

Dal vangelo secondo Marco (Mc 1,29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

PRIMA LETTURA – Dal Libro di Giobbe (Gb 7,1-4.6-7)

Giobbe parlò e disse:
«L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?
Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi d’illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate.
Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”.
La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba.
I miei giorni scorrono più veloci d’una spola,
svaniscono senza un filo di speranza.
Ricòrdati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene».

SECONDA LETTURA – Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 9,16-19.22-23)

Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!
Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

Trascrizione dell’Omelia

Nonostante il freddo, ci siamo ritrovati anche stasera in questa cappella, così improbabile per certi versi, a volte così lontana dalla realtà di una chiesa, che ci sembra difficile condividere questo momento, ma io vorrei mostrarti come Dio crei un argine intorno a te, ti fa accomodare, ti mette a proprio agio dentro un annuncio che forse non avevi pensato uscendo di casa, che forse non avevi immaginato. Lui, però, conosceva le tue difficoltà, sapeva quali fossero i tuoi problemi, quali sono le strettezze del tuo cuore, le tue amarezze, le tue esperienze e proprio per questo ti viene incontro, delineandoti una possibilità di conoscersi, una sorta di appuntamento con te.
Per farti entrare in questa comunicazione usa le parole di Giobbe [Gb 7, 1-4. 6-7, spec vv 1-3], quell’uomo virtuale che ad un certo punto si trova nelle condizioni di aver perso tutto, di non avere più niente, di essere addirittura perseguitato, neanche i suoi “amici” gli dicono il vero, ma lo stornano da un autentico affidamento a Dio, quasi difendendo Dio stesso. Giobbe dice le sue parole, che sono anche le tue parole, quelle dell’uomo che ancora non ha incontrato il Cristo e forse ancora non ha conosciuto Dio, semplicemente, di chi ha toccato con mano la durezza della vita, ha sperimentato il peso dei giorni e dell’esistenza.
Afferma dunque Giobbe: L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra? Non è forse questa la nostra situazione? E i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? Che immagine…, il mercenario conta i giorni, perché sono quelli che mancano per essere pagato, la vita dell’uomo è un computo di giorni, la cui unica speranza è che siano guadagnati, conquistati.
E seguita con altre immagini che evocano veramente i sentimenti dell’uomo in difficoltà: Come lo schiavo sospira l’ombra. Pensate ad uno, costretto a duri lavori, che non vede l’ora di metterli da parte per riposarsi un po’ e non può farlo, perché non può decidere lui quando ristorarsi, perché è uno schiavo. Non è forse la tua situazione? Anche se non fossi schiavo del tuo lavoro, non lo sei delle tue cose? Puoi decidere sempre quando isolarti un attimo e riposarti un po’? Ancora, come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Mesi di illusione… descrive il cammino di un uomo che ha cercato, cercato, cercato, ma non ha trovato alla fine quello di cui aveva veramente bisogno, dunque, l’illusione è il giudizio, la valutazione globale sulla storia che vive. È anche un po’ il tuo, forse, non so…
Se questa è la nostra realtà, diremmo con la Scrittura [Is 22,12-13 1Cor15, 31-32; cfr anche Mt 19,10-12], allora, tutto questo ci è sconveniente, impossibile? Ma conviene fidarsi? Conviene credere? Conviene vivere in questo modo senza niente che ci dica neanche dove ci troviamo?
Guardiamo l’annuncio del Vangelo di Marco di questa sera [Mc 1, 29-39, di seguito v 29], il seguito di quello che abbiamo ascoltato la scorsa domenica, quando Gesù era entrato nella bellissima sinagoga di Cafarnao [Mc 1, 21-28] e in quel contesto, davanti a tutti, platealmente, dopo aver parlato delle cose di Dio, aveva scacciato un demonio, imponendogli di non dire chi Lui fosse. Siamo rimasti meravigliati che Gesù dicesse a questo uomo indemoniato di non parlare, di non permettersi di rivelare chi fosse. Ci ha stupefatto questo, ma se Gesù fa così con quest’uomo, cosa gli sta dicendo? E questo si ripete anche in questo brano: usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea.
Chi visitasse Cafarnao, si accorgerebbe che la distanza tra la sinagoga e la casa di Pietro è molto breve, una piccola passeggiata, sono molto vicine. Gesù si reca a casa di Pietro e, come arriva, fa un gesto di una prosaicità impressionante. Trova la suocera di questi con la febbre e le dice alzati, guarisci, e quella si rialza e si mette a servirli. Ma un Vangelo che deve raggiungere gli estremi confini della terra, perché mai dovrebbe raccontare la storiella di questa suocera, che aveva la febbre, Gesù la tira su e lei si mette a fare in cucina?
Sembra un quadretto familiare, assolutamente non importante, ma guarda un po’ se questa realtà non viene a interpretarci e a raccogliere anche la nostra domanda profonda: andiamo a celebrare Dio dentro la Chiesa, dentro i grandi eventi, andiamo a cercare Dio dentro i miracoli o le grandi manifestazioni e, per carità, c’è, si mostra, compie quello che ha pensato per l’uomo, si lascia raggiungere, si lascia conoscere, ma, dopo, anche noi ce ne andremmo con il solito ritornello dei mesi che ci sono toccati di illusione, delle notti che ci sono toccate di angoscia, senza significato, e torniamo anche noi nelle nostre case un po’ così, sempre come uno che gli manca qualcosa per arrivare alla pienezza dell’esperienza.
Marco racconta che Gesù si sposta dalla sinagoga, è una narrazione piena di simboli ma, d’altronde, il Verbo di Dio entra nella storia, si mette i panni dell’uomo, la sua stessa carne, quando agisce lo fa da uomo o da Dio? Lo rammento io prima che diciate qualcosa di sconveniente. Agisce da uomo-Dio e questa cosa non è mai separata, tutto quello che fa, anche se apparentemente non conta nulla, non è molto importante, è un riverbero dell’amore di Dio. Si legge anche nei minimi atteggiamenti di Gesù qual è l’intenzione del Padre, di amare l’uomo e incontrarlo. Dunque, appena esce dalla sinagoga, dal luogo della santità, dove si cerca l’Onnipotente, mostra come lo si possa incontrare dentro la banale quotidianità della storia dell’uomo, nella casa di Pietro, in una realtà qualsiasi come le altre, con una parente, neanche la moglie, la suocera, che stava male, era vecchia, aveva la febbre.
Gesù la guarisce subito, un episodio raccontato in due righe, la fa alzare e quella si mette a servirlo, come dire, questa è la prassi della salvezza che Dio è venuto a inaugurare. Quando incontra l’uomo, lo rialza dalla sua difficoltà e quello, risollevandosi, riconosce il Signore e afferma: bene, ora mi metto al servizio. Di chi? Di tutti gli uomini che cercano Dio, divento uno che è il servizio per gli uomini, cosi che anche gli altri possano comprendere che Dio si lascia incontrare. Questa logica la intendi bene: se conosci un uomo che ti parla del suo incontro con Dio, e te lo mostra in una maniera così normale, servendoti, la comprendi, no? La hanno capita tutti i poveri che si sono imbattuti in persone come Madre Teresa di Calcutta, come San Camillo de Lellis, san Francesco, sant’Antonio, come tutti gli uomini e le donne di Dio, vero, o no? Dunque, anche tu puoi comprendere questa realtà.
Appena accaduto questo, naturalmente, tutti quanti portano a Gesù gli ammalati, gli indemoniati, e uno di questi farà quasi la stessa cosa, comincerà a rivelare chi Lui sia, che è il figlio di Dio e, anche questa volta, come aveva fatto nella sinagoga, Gesù impedisce al demonio di proferire questo atto di fede. Come a dire: io sono venuto per l’uomo, lo educo dalla sua situazione di difficoltà, lo rialzo, gli ridò la salute, lo rimetto nelle condizioni di proclamare la fede, di riconoscermi, ma lo faccio con l’uomo non con il demonio. Non può arrivare prima il diavolo dove voglio che entri l’uomo, nella consapevolezza dell’offerta della grazia. Perché ha fatto questo? Perché satana già all’inizio ci aveva provato, era entrato prima della manifestazione della grazia di Dio e si era messo tra l’Altissimo e l’uomo per separare questa relazione. In questo momento, Gesù dice no, tu non entrerai più in questo luogo. Anche la casa, le relazioni normali, familiari, di Pietro sono un luogo di santità e, dunque, è necessario che io operi perché Dio si mostri, è indispensabile che l’uomo riconosca me perché incontri Dio. Mette fuori l’accusatore, il sospetto, che si era posto frammezzo.
Continua questo brano: Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati [Mc 1, 32, di seguito 35.38]. Questo significa che dopo questa esperienza, quando cala la capacità di comprensione dell’uomo, venuta la sera, quando ci si vede di meno, allora, tutti portarono le proprie difficoltà, la propria malattia, ma subito dopo, narra ancora Marco, al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava, a mostrare che dalla sinagoga, alla casa di Pietro, al luogo della comunione trinitaria, c’è un passo, c’è un’ora, c’è un momento, non c’è una muraglia cinese, non c’è un luogo incolmabile, come forse noi vorremmo con la nostra stolta immaginazione. Dal luogo in cui Gesù proclama l’autenticità del suo annuncio, a quello in cui mostra concretamente l’ingresso di Dio nella storia, fin dove, nella preghiera, nella comunione trinitaria, fa vedere all’uomo chi fosse veramente, non c’è una difficoltà, come la vorremmo noi, tutto è diventato alla portata dell’uomo.
Quando gli uomini lo cercano, Gesù dice ai suoi apostoli andiamocene, perché io questo annuncio lo racconti a tutti. Bisogna che questa esperienza la faccia fare a ognuno, che entri nella vita di ciascuno. Se c’è una realtà malata, incapace di uscire dalle tenebre e da questa esperienza di illusione, sono venuto a restaurare il Regno di Dio, a mostrare qual è l’amore di Dio.
Spero che questa Parola questa sera vi abbia fatto entrare in questa Eucarestia, vi abbia riconnesso con la volontà dell’Onnipotente e anche se il peccato preme così tanto sulla vostra coscienza e sulla vostra consapevolezza, possa la vostra fede e la speranza farvi sperimentare questo atto di grande carità che Dio ci ha fatto in Gesù Cristo.

Sia Lodato Gesù Cristo

Preghiera dei fedeli

Padre Santo e Misericordioso,
tu ci hai visitato dall’alto come sole che sorge, non ti sei scandalizzato della nostra miseria, dei nostri molti peccati, ma ci hai fatto conoscere il tuo volto misericordioso quando inviandoci il Tuo Figlio Gesù ci hai permesso di pregarti e di amarti con il dono dello Spirito, vieni adesso incontro alla nostra debolezza e suggerisci al nostro cuore la preghiera autentica.

Ti preghiamo, Padre Santo e Misericordioso, per la tua Chiesa, possa visitare il disagio degli uomini e nella semplicità dell’annuncio e nella potenza della consapevolezza dell’incarnazione del Verbo possa risollevare gli uomini dalle loro difficoltà.

Ti prego Padre Santo e Misericordioso
per questi tuoi figli, se restasse nella loro vita e nel loro cuore ancora una porta semi aperta, irrompi nella loro esistenza, fa loro conoscere la tua bellezza fa sperimentare a questo tuo popolo la fedeltà delle promesse che tu hai fatto loro
te lo chiedo Per Cristo Nostro Signore

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