Il senso autentico della Riconciliazione
«…il muro di separazione che era frammezzo…» (Efesini 2,14).
Forse approcciamo ingenuamente il tema della riconciliazione come la necessità di reintegrare relazioni interrotte drasticamente o compromesse da qualche accadimento doloroso o urtante, cercando così di colmare i solchi dell’odio o del risentimento con manifestazioni ufficiali di richiesta di scuse e dichiarazioni di non belligeranza. Presto ci accorgiamo che queste strutture non possono bastare, non sono sufficientemente adeguate alle ferite dell’uomo, provocate dal peccato originale e perciò destinate a riproporsi nelle generazioni.
Tutto il cammino del popolo di Israele in cerca della propria identità, tanto nel percorso dell’Esodo, quanto nella cosiddetta “risalita della terra”, permessa da Dario, re di Persia, alla fine della cattività babilonese (Esd 6), ebbene, tutto questo cammino procede attorno alla Tenda/Tempio attraverso la quale Dio ha scelto di relazionarsi con il popolo.
E, lo sappiamo, questa tenda, poi il Tempio di Gerusalemme, rende visibilmente evidente la complessità e la gradualità dell’avvicinamento a Dio. Come a dire: poiché il cuore dell’uomo è diviso e causa di divisione, il suo avvicinamento alla santità di Dio deve essere mediato da passaggi graduali. Questi sono forse rappresentati dai muri di separazione tra le varie categorie ammesse a salire al Tempio: gentili, donne, uomini, i sacerdoti e leviti, infine il sommo sacerdote.
Questo “contratto che ci era sfavorevole”, come lo definisce Paolo, è stato squarciato come il velo del Tempio con il sacrificio di Cristo: la sua dichiarazione di amore per gli uomini, come un fiume di grazia crescente, abbatte le barriere e inonda la storia. È qui che possiamo trovare il senso genuino della riconciliazione, per questo la lettera agli Efesini dice: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14). “Egli è la nostra pace” vuol dire che egli è la soddisfazione per il male ricevuto con l’esperienza di peccato, e se egli è la nostra soddisfazione, non ci sarà più bisogno di vendette e di rancori. Dio ci ha incontrati in Cristo là dove avevamo sperimentato la solitudine e l’abiezione generate dal peccato. Per questo motivo, in forza di questa esperienza, siamo noi stessi diventati fonte di pace e riconciliazione per quanti si avvicinano.
È talvolta un po’ inquietante vedere ridotta questa esperienza di grazia a manifestazioni esteriori e forse un po’ superficiali che si traducono in girotondi e irenismi che sembrano non tenere conto della drammatica logica della passione.
Riconciliazione è allora il primo frutto del triduo pasquale, un mutamento di vita e una conversione del cuore che non può e non deve prescindere dalla morte di un modo vecchio di essere; una esperienza della solitudine del sepolcro e una discesa agli inferi della propria coscienza, per essere resuscitati alla vita vera dalla potenza stessa dello Spirito di Dio che quando lascia intendere il senso dei suoi “gemiti inesprimibili” in noi, si esprime con la parola “Padre”, riconducendo ognuno alla consapevolezza di essere in relazione non con individui avversi e minacciosi ma con fratelli.
Padre Enzo
[intervento registrato per la trasmissione “Le parole della misericordia” di Radio Più www.radiopiu.eu]