Commemorazione dei fedeli defunti

Anno Liturgico A
02 Novembre 2014

Il Signore è mia luce e mia salvezza

Messa della mattina

LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura

Alleluia, alleluia.
Questa è la volontà del Padre mio:
che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna;
e io lo risusciterò nell’ultimo giorno, dice il Signore.
Alleluia.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,37-40)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

PRIMA LETTURA – Dal libro di Giobbe (Gb 19,1.23-27a)

Rispondendo Giobbe prese a dire:
«Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

Salmo 26
R. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario. R.

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto. R.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.

SECONDA LETTURA – Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 5,5-11)

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare

“L’afflizione per i defunti: quale è proibita.”
Agostino
DISCORSO 172(1)

1. 1. Il beato Apostolo ci esorta a non affliggerci per coloro che dormono, vale a dire per i nostri carissimi defunti, come in genere gli altri che non hanno speranza, s’intende la speranza della risurrezione e della incorruttibilità eterna. Appunto per questo, l’uso costante e rispondente alla realtà della Scrittura li chiama anche ” coloro che dormono “, e così, quando sentiamo ” dormienti “, non dubitiamo che si sveglieranno, come si canta nel Salmo: Forse chi dorme non si leverà a risorgere? 1 Così, per i morti, in coloro che li amano c’è una specie di tristezza, in certo modo naturale. Non si tratta di una credenza, ma è la natura che in realtà ha orrore della morte. All’uomo non sarebbe capitata la morte se non fosse stata per la pena di una colpa che l’aveva preceduta. Perciò se gli animali, creati così che muoiono ciascuno a suo tempo, sfuggono la morte e amano la vita, quanto più l’uomo che era stato creato tale da vivere sempre se avesse voluto vivere senza peccato? Ne segue pertanto che inevitabilmente ci rattristiamo quando quelli che amiamo, morendo, ci lasciano. Benché infatti sappiamo che i defunti non lasciano per sempre noi che restiamo, ma che precedono alquanto noi che li seguiremo, pure quella morte, da cui la natura rifugge, quando colpisce la persona cara, affligge in noi il sentimento dell’amore stesso. Per questo l’Apostolo non ci consiglia di non rattristarci, ma che la nostra pena non sia come quella degli altri che non hanno speranza 2. Rattristiamoci dunque per i nostri defunti quando inevitabilmente subiamo la separazione, ma con la speranza di riaverli vicino. In un senso siamo angosciati, nell’altro consolati; da una parte è colpita la debolezza, dall’altra si fortifica la fede; di là è nel dolore la condizione umana, di qua offre il rimedio la promessa divina.

TRASCRIZIONE dell’OMELIA

Celebrare questa commemorazione dei defunti significa avvicinarsi con coraggio al cratere della nostra esistenza per osservare la profondità di questo buco nero che nessuno di noi ha il coraggio né il desiderio né la capacità di scandagliare, di investigare e per questo motivo perché sentiamo di non avere sicuramente il coraggio e neanche la capacità allora vi proiettiamo cose in questo buco nero e quanto è più grande la nostra ignoranza delle cose del progetto di Dio, la realtà che il Signore Gesù Cristo è venuto ad inaugurare tanto più metteremo cose false in questo pozzo profondo nel quale confiniamo il mistero apparentemente più grande della nostra esistenza cioè la morte. Vorremmo che al ciglio di questo burrone ci accompagnasse una mano amica, forte, come quella di nostro padre quando eravamo bambini, che ci portasse fin là e ci lasciasse sporgere perché noi non sentissimo il risucchio di questo pozzo profondo, vorremmo che una voce autorevole ci mettesse al riparo da ogni falsa immaginazione proprio su questo mistero così grande. Ma c’è una voce che può aiutarci, c’è una parola che può giungere fino a noi è la parola che abbiamo ascoltato, la chiesa ci fa conoscere un personaggio in questa liturgia della parola che è Giobbe, personaggio paradossale, non è un personaggio vero, non è una persona storica, è il paradosso di un uomo che ha deciso di vivere tutti i precetti della Legge del Signore ed in ordine alla possibilità di mettere in pratica tutti i precetti egli sa e tutti sanno che avrà la giustizia, che avrà tutto da Dio non gli mancherà nulla, questa è la promessa che il Signore ha fatto a quelli che osservano la sua parola ma proprio Giobbe è messo in tentazione dal maestro del sospetto, dal pensiero serpeggiante che si è impadronito della storia da quando l’uomo ha incominciato a pensare che Dio ha un progetto si, ha una volontà si, ma questa volontà non è a favore dell’uomo è a favore suo e per noi è uno svantaggio. Questo maestro del sospetto mette Giobbe nelle condizioni di stare in difficoltà, in un giorno solo, secondo questo racconto sapienziale un po’ paradossale, in un giorno solo Giobbe perde tutto, tutti i beni, tutti gli armenti, tutti i possedimenti, tutto, perfino i figli e anche la salute, è costretto nella polvere e stare davanti a Dio senza parole, alcuni amici vanno a trovarlo per dire quello che dicono a te ai funerali, che cosa ti dicono? “Vedrai, la vita continua non ti preoccupare, condoglianze”, tutte parole inutili che servono a nascondere la potenza di Dio, che servono ad impedirti di investigare con coraggio dentro questa morte, dentro questo fallimento, questa sconfitta che tu percepisci sia la morte. Ma Giobbe non li ascolta e si mette a fare quello che ogni cristiano potrebbe fare se non fosse così moralista e qualche volta anche così ipocrita e mediocre, si mette a disputare con Dio e dice: “Dio ma che mi hai fatto vivere a fare? Maledetto il giorno in cui sono nato” (Gb 3) si mette a fare questa disputa con Dio finché Dio non appaia nella scena e non cominci a parlare con Giobbe e Dio dice a Giobbe quello che direbbe a te oggi che rifletti su questo mistero: “Dimmi, lo sai di che cosa è fatta la creazione?”, che risposte hai? Alcuni dicono: “Di atomi di carbonio”. Con quale volontà? “Con la volontà naturale delle cose, con la legge dell’evoluzione con qualche questione biochimica tutto si forma e tutto va da qualche parte”, qualcun altro pensa che siano i marziani, qualcun altro pensa che sia una magia, tutto è casuale ma Dio dice a Giobbe e dice a te: “Ma tu che cosa pensi? Come è fatta la creazione? Sai dirmi qualcosa sulla materia che ti compone? Sai dirmi qualcosa sulla necessità delle tue cellule di rimanere attaccate l’una all’altra perché tu viva? Sai dirmi qualcosa sulle tue funzioni più intime, quelle che riguardano la fisiologia della tua esistenza? Puoi studiarle, puoi approfondirle ma ne sai la finalità?”, allora tu pensi di poter decidere e dire: “Ma secondo me non c’è nessuna finalità, se ci stanno ci stanno quando non ci stanno più le polverizzo nel fuoco, le disperdo nel mare e poi facciamo chissà che cosa” ma in questo modo tu hai detto la verità su quello che sei? Non l’hai detto, non lo sai, sai come funzionano certi meccanismi ma non sai perché funzionano così, sai che la terra gira intorno al sole ma non sai perché lo fa, sai che l’universo è infinito ma tu non hai il concetto di infinito, non ce l’hai, è un’ipotesi l’infinito non sai come definirlo proprio perché è infinito, non sai della genesi di molte cose, ti fidi di teorie qua e là ma siccome siamo arrivati ad un’ignoranza grassa e supina nonostante le nostre incomparabili conoscenze, oggi crediamo a tutto, perfino all’influsso delle costellazioni e le carte astrali un accidenti che se ci prendesse qualche volta quando diciamo queste cose, proprio roba indegna dell’umano. Bene, non lo sappiamo, sappiamo solo che non possiamo produrre nessuna immagine che abbia la forza, la presunzione di essere vera, non lo sappiamo, abbiamo bisogno che qualcuno ci venga a dire qualcosa, dice Giobbe quando sente parlare Dio: “Adesso ho capito! Adesso i miei occhi ti vedono ma io mica lo sapevo chi eri, ora ti vedo perché mi parli, già, ora ti vedo perché mi parli, perché questo è il segreto, ora ti so perché ti fai conoscere, ora ti raggiungo perché mi raggiungi, ora so che tu mi parli e dunque so che io posso parlarti”, questa è la mano che io stavo aspettando che mi portasse fino al ciglio della porta, al limite che c’è tra la vita e della morte, questo, questa mano, una voce che mi aiutasse, che mi parlasse, di fronte a questo Giobbe dirà: “Adesso so che il mio redentore, il mio vendicatore (in ebraico “Il mio gohel” quello che si prende il riscatto, quello che mi riscatta da questo fallimento della morte), io so che è vivo” e come lo so che è vivo? Perché mi parla, ecco dove dovevo trovarti direbbe Sant’Agostino, non fuori, non nelle idee, nelle immagini, nelle teorie degli altri, potevo trovarti dentro di me, so che là mi parli, perché? Perché se fossi solo un’accozzaglia di cellule, se fossi solo un organismo che vive nel tempo che gli è stato dato, io non avrei la capacità di prendere l’eredità di chi mi ha trasmesso le cose buone della vita e la fede e non saprei restituirle e non capirei perché farlo, io non lo faccio per mangiare, non lo faccio per arricchirmi, lo faccio perché è un intimo desiderio della mia vita, parlare e celebrare le cose che tu mi hai dato di contemplare, ecco una parola chiave, contemplarle, poterle vedere, poterle distinguere nell’oscurità delle mie cose, nel guazzabuglio delle mie passioni, nel mare tempestoso delle mie tentazioni, io sempre scopro una finalità recondita che accende il mio cuore e che pone davanti a me il bene e che mi invita a raggiungerlo e compierlo, allora questo mi supera, questo le cellule messe insieme non ci arrivano a farlo, neanche l’intelligenza, perché noi sappiamo Dio, che l’intelligenza, la ragione, non sempre producono il bene, qualche volta fanno genocidi terribili, dunque neanche questo è buono, devo rientrare in me stesso, allora mi accorgerò che l’ordine delle cose che mi fanno, che mi compongono in questo modo e che io vedo allo specchio e che gli altri vedono quando mi relaziono con loro, sono informate da uno Spirito e da un’anima vivente che le fa stare in questo mondo in questo modo ma questo Spirito suggerisce continuamente a tutte le cellule del mio corpo che hanno il diritto di sperare, che hanno il diritto di andare oltre ciò che gli è dato, perché conservano una memoria e se conservano una memoria vuol dire che sono capaci di qualcosa di molto grande ed io posso pensare che la memoria delle cose che ho visto, delle cose che ho sperimentato, dell’affetto che ho provato, perfino del dolore per il quale ho pianto, posso pensare che tutto questo debba e possa dissolversi? Non posso. Non posso perché se l’avessi provato solo io morirebbe con me ma l’affetto che ho provato l’ho condiviso e l’ho ricevuto ma il dolore che ho provato so da dove viene ed ho pregato per questo, io so perché ho sentito, so perché ho provato queste cose, so perché nel mio cuore tutto questo si muove dunque so che tutti gli uomini, da più o meno, che ascoltino o meno il proprio cuore, tutti gli uomini sanno che c’è un anelito profondo all’esistere che supera l’esistenza stessa e questa memoria ci dà la possibilità di celebrare anche oggi quelli che abbiamo conosciuto, amato, volendoli mantenere all’esistenza perché sappiamo che fanno parte di noi e noi parte di loro e questa speranza la consegniamo alla generazione che viene e poi a quella che viene ancora perché di generazione in generazione questo filo conduttore della vita che è prerogativa di Dio, Dio vivente, così noi lo adoriamo, così noi lo abbiamo conosciuto, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che è vivente perché ha superato questa soglia della morte, Padre donatore dello Spirito che è vivente perché è presente nelle nostre relazioni dentro la nostra coscienza, siccome io ho visto tutto questo, io posso sperare la vita eterna, solo dovrò non commettere un errore, non dovrò commettere l’errore di rappresentarmela questa vita eterna, perché il giorno che gli dessi un’immagine allora la strapperei, la ridurrei, se la facessi diventare una verde prateria, non la potrei credere; se la facessi diventare una pace eterna senza fine, mi annoierebbe; se la riproducessi in un paradiso con un sacco di angeli che suonano l’arpa, mi stancherebbe fino ad oltre la morte. Allora devo solo pensare che questo dono mi supera, così come quel giorno mi ha superato il dono della luce e del respiro quando sono uscito dal grembo di mia madre, mi ha sorpreso, era diverso da quello che vivevo prima dentro il grembo di mia madre, era diverso, mi ha sorpreso e mi ha sorpreso piacevolmente perché attraverso i sensi ho gustato, ho visto, ho ascoltato, attraverso il mio cuore che pulsava indipendente da mia madre ho amato, attraverso tutto quello che ho potuto conoscere ho desiderato, ho vissuto, allora io chiederò questo: “Si Signore, tu mi vendicherai, tu mi vendicherai dal fallimento della vecchiaia e della morte, dal dolore della malattia, dal sopruso che ho provato, dall’abbandono che ho vissuto, tu mi vendicherai, perché hai posto in me un germe della tua vita divina e tutte le volte che vengo qua a nutrirmi del corpo glorioso del tuo Figlio, io non faccio che cambiare le mie cellule destinate alla morte con la vita divina di Gesù Cristo, mi nutro di divinità, mi nutro di eternità, mi nutro di santità e questa non può morire, questa non si può dissolvere e il mio spirito lo sa e la mia vita lo sa, per questo vivo, per questo vivo il ministero, per questo un giorno morirò insieme a voi”. Possa lo stesso Spirito che parla al mio cuore parlare anche al tuo e aprirti queste porte, guarda ai tuoi cari con fiducia, prega per loro se gli manca qualche cosa per la loro definitiva santificazione, chiedi anche a loro di pregare per te, perché noi crediamo in questa comunione dei santi, in questa possibilità di condividere la grazia e raggiungere insieme la gloria.

Sia lodato Gesù Cristo.

Messa Vespertina

 

TRASCRIZIONE dell’OMELIA (Messa Vespertina)

Poiché noi siamo diventati laici e siamo diventati anche disincantati davanti a tante cose ci resta difficile capire cosa sia questa risurrezione dalla morte ma se volessimo investigare su questo mistero dovremmo andarlo a cercare non là dove la morte accade ma là dove accade la vita, là dove ha origine la vita, perché se è un mistero la morte non lo è da meno la vita, possiamo dire molte cose sulla vita e a seconda della prospettiva che scegliamo per definirla possiamo concludere qualcosa di positivo, di credibile, di accettabile, una persona che ha uno sguardo così naturalistico tipico dell’esistenza penserà alla vita come un materializzarsi di molecole di carbonio, ossigeno, idrogeno ed avrebbe abbastanza ragione per definirla così, poi però dovrebbe dire perché sono insieme, allora ci sarebbero delle leggi che in qualche modo le tengono insieme ma perché poi tutto questo collabori perché anche quello che è intorno si ordini verso un equilibrio, verso una finalità, verso addirittura una possibilità di trascendere cioè immaginarsi anche oltre ciò che è visibile ma è sufficiente questo? Potrebbe essere anche solo non più lo sguardo di uno scienziato ma di un filosofo cioè uno che parte dai mattoncini della vita ma si domanda anche poi il perché, il dove si va, il come etc., etc. . allora noi potremmo chiedere al teologo: “Dicci qualcosa di più” ed il teologo ti direbbe qualcosa di più e finalizzerebbe tutto questo nel grande piano di Dio ammesso che tu Dio lo conosca e lo creda ma qua il problema è sempre lo stesso, anche quando tu Dio pensi di conoscerlo e pensi di crederlo, di fronte al fatto della morte cade questa possibilità, questa probabilità viene meno, perché? Perché la morte si impone come una logica che è assurda, che è paradossale, che non è accettabile, la morte si impone come un limite inalienabile, si impone come un anti linguaggio, tutto quello che noi facciamo, che speriamo, che desideriamo, ciò che ci raffiguriamo, che vorremmo raggiungere, tutto parla di vita, tutto ci chiama all’esistenza a volte anche passando per momenti molto difficili continuiamo ad elaborare strategie di vita, di bellezza, di trascendenza, di amore. Allora non sarebbe sufficiente neanche questo .. dove dovremmo andare per cercare una chiave di lettura? Dovremmo allora ricordarci che noi non ci poniamo come una creazione già data, già esistente di fronte ad un annuncio che viene da chissà dove, noi dobbiamo pensarci come una creazione che ha la sua origine nel piano di qualcuno che tutto ha disposto conformemente alla sua volontà come dice San Paolo e che in questo scorrere della storia verso la sua finalità continuamente agisce, interagisce, si mostra e si fa conoscere, questo noi abbiamo capito. Si fa conoscere cioè si cala dalla realtà dalla quale ha creato e pensato tutte le cose, si cala dentro la nostra capacità di incontrarlo e dove lo incontreremo? Lo incontreremo in tutte le cose che ci riguardano, lo incontreremo nelle relazioni che amiamo con gli altri, lo incontreremo nell’innamoramento che abbiamo vissuto, forse anche nella possibilità di trascendere le tensioni, le sofferenze, le fatiche della vita, tutto quello che ci riguarda certamente, lo incontreremo nella liturgia, nel culto, nella preghiera ma in un luogo certamente lo incontriamo, lo incontriamo là dove risiede il segreto della nostra esistenza, quando ci accorgiamo che tutte queste molecole di cui dicevamo prima in realtà non fanno che da supporto a qualcosa di più intimo, di più profondo, di più vero, di più vitale, qualcosa che pulsa dentro la nostra esistenza e la trascende, dovremmo accorgerci che dentro questo organismo così ben compaginato seppur con i suoi acciacchi, con le sue difficoltà e la sua vecchiaia c’è un anima vivente che ogni giorno ci mette nelle condizioni di sperare contro ogni speranza (Rm 4,18), di osservare profondamente tutto ciò che è dato all’uomo di investigare, di conoscere, di sperimentare, di sentire, di amare ma che oltre a questo corpo che sostiene tutta questa realtà, oltre all’anima che ci dà la vita, noi ci accorgiamo che al centro del nostro essere c’è uno spirito, che non è ancora lo Spirito di Dio, è lo spirito dell’uomo, che cosa ha la capacità di fare? Di amare. Di amare fino a quando? Fino alla morte, di amare oltre quello che è possibile amare, di amare perfino quando non è riamato, questo l’anima vivente non è capace di farlo, questo l’intelligenza non lo sa fare, questo le facoltà dell’uomo non lo aiutano sempre a farlo, c’è uno in noi che ci mette nelle condizioni di sperare sempre e di poter amare sempre. Ma di più, questo spirito conserva la memoria di tutte le cose, conserva la memoria del passato dove sono disseminati fatti molto importanti, molto difficili, molto belli, molto gradevoli o molto deprecabili, non so, anche i nostri peccati sono nella nostra memoria ma tutto ciò che c’è nella nostra memoria dice chi siamo, dice la nostra identità, dice il nostro nome, dice tutto ciò che ci riguarda, quando noi ricordiamo anche solo visivamente la data del nostro compleanno, vi intravvediamo qualcosa di unico, specifico, che ci riguarda, che è tutto nostro e dentro il quale possiamo incontrarci, saperci, conoscerci e presentarci agli altri e qualche volta se incontriamo qualcuno che è nato il nostro stesso giorno, ci sembra che abbia qualche cosa a che fare con noi benché si tratti di un elemento assolutamente non importante. Non solo, ma dentro questa memoria c’è anche il vivere di oggi, quello che non desideriamo perdere, la capacità di conoscere, di ricercare ancora, di provare ancora sentimenti, di provare ancora emozioni, c’è anche l’attesa di un futuro nel quale tutto ciò che non si è ancora aperto si apra, ciò che non si è ancora visto si veda; non solo ma c’è anche tutto quello che i nostri cari hanno vissuto e hanno depositato dentro la nostra memoria, dunque uno spirito che vive di vita propria, più del corpo, più dell’anima e da dove prende questa vita? E che cos’è che lo informa? E chi è che parla al nostro spirito se non lo stesso Spirito inconoscibile, impenetrabile, indicibile, che dimora nell’relazione trinitaria, che è all’origine della creazione, che ha informato ogni progetto, che ha reso possibile ogni pensare di Dio, che ha accompagnato la predicazione del Figlio, che lo ha resuscitato dalla morte e che è consegnato a noi come una caparra di vita eterna (2Cor 1,22; 2Cor 5,5) è un gusto che non ha mai fine, è un gusto ineliminabile, è una presenza che ci supera, a questa presenza affidiamo tutto ciò che abbiamo paura di perdere, affidiamo allora il ricordo di chi abbiamo amato, affidiamo la speranza che qualche volta viene un po’ meno, affidiamo la memoria che desideriamo che non si perda insieme al nostro corpo, affidiamo tutto ciò che c’è piaciuto avere, che c’è piaciuto gestire, che c’è piaciuto condurre durante l’avventura di questa storia terrena. Questo noi celebriamo oggi ma lo celebriamo sotto un nome che supera anche le descrizioni che abbiamo fatto, questo nome si chiama comunione dei santi cioè una interdipendenza secondo la quale possiamo addirittura chiedere ancora a Dio che queste generazioni che ci hanno preceduto, che hanno vissuto con noi e condiviso con noi che non possiamo vedere più, vivano ancora e godano anche di ciò che gli è mancato cioè di quel compimento che noi abbiamo deciso oggi di versare in questa cassa della misericordia di Dio perché siano riscattati totalmente e possiamo ancora credere e sperare che queste anime preghino a loro volta per noi, potendo vedere la realtà com’è, non più macchiata, offuscata, ostacolata, dal peccato, dall’egoismo, dal sospetto, dalla piccolezza della nostra mente e del nostro cuore, da tutte quelle realtà anguste che fanno la nostra esistenza, possiamo chiedere loro di aiutarci in questo e allora scopriremmo che uno stesso protagonista tra loro e noi e nella storia tra il Padre ed il Figlio, cioè lo stesso Spirito è ancora l’attore di questa storia di salvezza; per questo Giobbe che si è trovato in un giorno a perdere tutte le cose dunque a vivere concretamente la morte, anche se è una figura paradossale, non esistente, per questo Giobbe può mettersi in contenzioso con Dio finché Dio non gli dica: “Giobbe tu sai da dove vengono tutte le cose? Tu sai chi è che presiedeva all’origine di tutto quello che tu hai sperimentato e che dici di aver perduto? Tu sai chi è l’origine di ogni cosa? Non lo sai … allora ti mostro chi è alla fine di ogni cosa, sono Io”, allora Giobbe dirà: “Ma io ti conoscevo solo per sentito dire, una religione mi ha parlato di te ma io lo credevo, non lo credevo, mi sono inventato culti di tutti i tipi … adesso ti vedo, ora ti percepisco, so che sei tu l’autore che parla dentro la mia vita, so che sei tu quello che dà ai miei giorni qualcosa che non riesco a conseguire da solo, allora io so che il tuo progetto è vero, che il tuo Figlio è vero e che la sua morte e la sua resurrezione ha la capacità di riscattarmi, di riscattare questo dolore, di riscattare questa sofferenza, di riscattare tutta questa morte che io mi porto dentro nella mia malattia, nella mia vecchiaia, nella mia incapacità di fare quello che devo fare, allora siano rese grazie a Dio dice San Paolo (Rm 8,35), perché né la morte né la vita, né la tribolazione, nulla può separarci da questo amore, siano rese grazie a Dio perché nel cuore del suo progetto c’è il suo Figlio e il suo Figlio non è un altro e il suo Figlio non è diverso da me, il suo Figlio ha preso la mia carne, con la mia carne è sceso nella morte, ha confuso la morte lasciandosi impregnare di morte, scendendo agli inferi per sconfiggerla esplodendo in una resurrezione che è eterna, che è vera, che informa la mia preghiera, che mi mette il gusto di sperare, che mi dà la possibilità di camminare, che mi fa amare, adorare, che mi fa pregare, che mi fa relazionare con gli altri che ancora è per me vita e che cerca di conoscere Dio e di questo noi siamo cultori, ricercatori, viandanti, esploratori avventurosi anche, di questo siamo anche testimoni, siamo pure annunciatori, siamo nel mondo a dire tutto questo, la morte non ha avuto l’ultima parola sulla vita, a dirlo a quegli uomini che percepiscono questo Spirito dentro di sé e non hanno ancora saputo tradurlo, non hanno ancora saputo comprenderlo ancora vagano così, in mezzo a tante incertezze, a tanti sospetti, a tanti dubbi, questo Spirito fissi in te questa speranza, questo Spirito accenda in te questa fede, proprio questo Spirito ti faccia sperimentare nella carità, cioè nella relazione, la vita eterna che Dio ha posto abbondantemente anche là dove la morte sembrava aver vinto.

Sia lodato Gesù Cristo.

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