Natale di Nostro Signore 2011
LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,15-20)
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
PRIMA LETTURA – Dal Libro del profeta Isaia (Is 62,11-12)
Ecco ciò che il Signore fa sentire
all’estremità della terra:
«Dite alla figlia di Sion:
Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, ha con sé la sua mercede,
la sua ricompensa è davanti a lui.
Li chiameranno popolo santo,
redenti del Signore.
E tu sarai chiamata Ricercata,
Città non abbandonata».
SECONDA LETTURA – Dalla Lettera a Tito (Tit 3,4-7)
Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.
Trascrizione dell’Omelia
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro [Lc 2,15-20, qui v 20]: dentro questa espressione c’è tutto il mistero del Natale e vorrei che entrassimo insieme in questa logica, per capire per cosa si sono stupiti questi pastori e cosa ti è chiesto anche oggi di provare nel cuore, un sentimento autentico, non un’emozione passeggera, non una tenerezza tra le tante, ma un atteggiamento veritiero che apra il tuo cuore ad una speranza, come forse non l’hai mai nutrita.
Cosa hanno visto e udito i pastori per tornarsene così stupiti a casa? Innanzi tutto, hanno avuto davanti uno spettacolo assolutamente ordinario, perché la vita di un bambino che giace in una mangiatoia con il padre e la madre, in una stamberga alla periferia di una piccola città come Bethlem, non è un grande spettacolo, non è degno di meraviglia. Voi direte… “beh ma gli angeli hanno detto loro Gloria a Dio nell’alto dei cieli… andate… vedete…, se è così, hanno vissuto una esperienza straordinaria…” Vero, ma la straordinarietà dell’esperienza di questi pastori non sta tanto nella visione di angeli. Se avessero raccontato questo, gli altri uomini non avrebbero creduto loro e ciò lo sappiamo da un fatto, che il giorno della Resurrezione, quando riveleranno di aver avuto visioni – anche di angeli – e che il corpo del Signore non era più nella tomba, chi poteva credere non ha voluto farlo, neanche davanti ad una realtà così eclatante. Sicuramente, dunque, non è l’oggetto della visione angelica che ha stupito né i pastori, né quelli che hanno ascoltato. Se fosse così, dovremmo auspicare per la nostra vita un’esperienza uguale a questa, una visione di angeli, senza la quale ci sarebbe incomprensibile il mistero dell’incarnazione, ci sarebbe impossibile entrare dentro la speranza che l’incarnazione del Verbo è venuto proprio ad inaugurare.
Eppure, c’è una evidenza, tra le righe, apparentemente anche palese, ma che non abbiamo forse colto. Questa realtà è venuta incontro a dei pastori, a delle persone assolutamente trascurabili dentro l’intellighenzia di Israele, vale a dire rispetto agli Scribi, ai Farisei, ai Dottori della Legge a tutti quelli che potevano e che erano addirittura chiamati ad interpretare la storia, la Torah, a compiere questo miracolo grandissimo che la Scrittura, la Parola, e la storia possano incontrarsi per produrre una esperienza autentica. Ma proprio costoro non sono stati convocati, mentre lo sono stati i pastori, uomini che portano il loro gregge, i loro desideri, sommessamente, silenziosamente, senza pretese, dentro una notte dove il pascolo è difficile, accompagnano in silenzio questo gregge che è tutta l’attesa dell’uomo verso una meta che ancora non conosce bene.
È vero, dice la Lettera agli Ebrei [Eb 1,1-2], che già molte volte e in molti modi Dio aveva parlato ai nostri padri per mezzo dei Profeti, per mezzo della Scrittura, questi pastori potevano dunque già sapere… Infatti, come citavamo dal brano di Luca sopra, tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro: sia dagli angeli, che lo hanno ricordato loro, sia da tutta la profezia, da tutto l’Antico Testamento, che li aveva preparati ad aspettare. Alla vista di questo spettacolo hanno potuto comprendere.
Perché i pastori? Perché questo linguaggio aveva raggiunto la necessità di mostrarsi ai piccoli, di tradursi in una logica semplice. Questa sarà anche la grande meraviglia, lo stupore, che prenderà l’anima di san Francesco di Assisi, quando meditando sulla bellezza dell’incarnazione del Verbo, in occasione della Festa del Natale, deciderà di interpretare plasticamente, concretamente, questo mistero, non per fare un bel presepe, pieno di sentimenti, come a casa Cupiello, ma per ricordare agli uomini che il mistero dell’incarnazione è vicino, non è distante, lontano o troppo alto perché lo si debba comprendere solo attraverso una sapienza umana elevatissima, è prossimo, si muove dentro il muoversi dell’uomo.
Raccontare l’incarnazione, come nel presepe napoletano per esempio, narrarlo nei fatti di un piccolo borgo, col fuoco acceso, la fontana, la donna con la brocca dell’acqua, quelli che vanno e che vengono, significa dire che questo mistero non è più nascosto, staccato, entra nella vita, nella storia, si manifesta dentro le pieghe dell’esistenza degli uomini. Mentre i re magi, che possiedono la sapienza, se ne erano partiti da lontano, seguendo una stella, con calcoli difficilissimi per vedere il Signore, per queste persone, invece, in una notte qualsiasi della loro esistenza, in mezzo alle pecore, si è reso possibile incontrare questo atteso Salvatore. Ma chi è Costui che i pastori hanno incontrato? Abbiamo capito cosa vuol dire il linguaggio della manifestazione ai semplici, ma chi si manifesta ai semplici?
Ritorniamo al versetto della Lettera agli Ebrei citato prima Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, dice il Vangelo di Giovanni, nel Prologo [Gv1,1-2], che questo Verbo era presente presso Dio e che nulla è stato fatto senza di Lui, segno che tutte le cose che sono state fatte portano in qualche modo una cifra del Verbo, qualcosa che lo riguarda, qualcosa addirittura che lo evoca, ma durante tutto il tempo dell’Antico Testamento questa realtà si è mossa nel sangue, nella difficoltà, nell’oscurità, nel desiderio di cercare la luce dentro le guerre, nella sopraffazione, dentro l’infedeltà di Israele, nell’esperienza della debolezza e della lontananza, tutte quelle cose che fanno la storia e la descrivono, così come accade un po’ anche alla nostra vicenda personale. Tutto in questo Testamento, tutto questo patto, aveva accompagnato la ricerca dell’uomo della verità, ponendo lo sguardo sulla Legge, sulla Torah di Dio e, dall’altra parte, fissando anche l’attenzione sulle manifestazioni di misericordia che l’Onnipotente nella storia di Israele aveva in qualche modo prodotto.
Con l’incarnazione del Verbo in mezzo a noi, la sorpresa ci ha aperto ad una realtà nuova: abbiamo potuto vedere faccia a faccia ciò che era nascosto dai secoli eterni, anche se gridato alle moltitudini e ai re da parte dei profeti, appena appena sussurrato dentro le stanze segrete del Tempio, là dove il Sommo Sacerdote ogni anno entrava nel Santo dei Santi per dire in una realtà vuota completamente il Nome santissimo dell’Onnipotente. Era una modalità troppo distante, troppo difficile, ma dall’Incarnazione del Verbo in poi ogni uomo, ogni bambino, ogni Figlio di Dio può entrare nel Santo dei Santi della propria esistenza e dire non più il Nome santo e impronunciabile del Dio di Israele, ma pronunciare semplicemente Padre nostro che sei nei cieli e proferire poi tutte quelle realtà che attestano la vicinanza, la prossimità, del Padre che è nei cieli con la nostra vicenda in mezzo alle tentazioni, al male, nella ricerca del pane quotidiano, nell’incapacità talvolta di comprendere la volontà di Dio e attuarla. Tutta la nostra storia.
Qual è, allora, la meraviglia dai pastori, fino ai nostri giorni e fino al nostro tempo? È quella che ci ha inaugurato un tempo in cui Dio è raggiungibile, addirittura, oseremmo dire, quasi quasi può diventare oggetto del nostro possesso. È questo che tenevamo come una speranza nel nostro cuore, eravamo fatti a sua immagine, portavamo una cifra della sua santità, questa in noi costantemente si muoveva con gemiti inesprimibili [Rm 8,26], quando abbiamo incontrato la misericordia di Dio in Gesù Cristo, quando abbiamo visto il suo sguardo riconciliarci con il Padre, quando lo abbiamo visto dare la sua vita sulla croce per noi, oppure nascere nella povertà della grotta di Bethlem, abbiamo detto non siamo più estranei, lontani, non siamo più gente che non conosce Dio, messa fuori, siamo prossimi a Dio, perché Dio è prossimo a noi: quella santità si è finalmente liberata, ha iniziato a relazionarsi con le altre e ha formato la Chiesa, il luogo dove la santità è occasione di salvezza anche per i lontani, di perdono e di riconciliazione.
Comprendi che miniera d’oro si è aperta davanti ai tuoi occhi e di cosa siamo stati fatti possessori e addirittura ministri, capaci di Dio e chiamati a raccontare questa meraviglia anche nella generazione in cui viviamo?
Mi rendo conto che rispetto alla prosaicità dei nostri giorni queste parole possono sembrare anche lontane, indeclinabili dentro il dolore, dentro la solitudine che ognuno vive nelle proprie situazioni, nella tristezza che costantemente ci opprime, ricordandoci che siamo limitati, invecchiati, esposti alla malattia e alla morte, traditi dagli altri, calunniati, schiacciati… È vero. Come dire che il Verbo abita in una realtà in cui tutto è invece schiacciato per terra? Come accorgersene?
La Misericordia e la bontà di Dio ti arrivano sempre nella Sua Parola, nella presenza del Suo Spirito, ma quando ti avvicini ad accogliere il Corpo di Cristo, là percepisci questo miracolo che costantemente si rinnova. Se sei fatto a Sua immagine e somiglianza, quella si risveglia quando il corpo di Cristo ti raggiunge, la Sua santità risveglia la tua che è nascosta e la abilita a produrre ancora santità.
Questo è il Natale. Dentro il buio delle nostre paure, delle nostre azioni, una Parola fatta carne, te ne accorgi nella Comunione, riabilita la tua figliolanza adottiva, risveglia il tuo desiderio e la tua speranza di appartenere a Dio ma, soprattutto, ti ricorda di cosa sei fatto e per chi sei fatto, uomo, e mette davanti ai tuoi occhi quello che costantemente la storia ti nasconde, ti cela, ti mette da parte, dicendoti non vali nulla, non servi a niente, non ti ama nessuno, non ce la farai mai, tutto è perduto, non si può più sperare e così via: l’opera del maligno dentro la storia.
Noi, come i pastori, guardiamo a questa grammatica semplice e proclamiamo: ti glorifichiamo Dio, ti glorifichiamo davanti agli uomini, raccontiamo le Tue meraviglie, diciamo che non è vero che tutto è perduto. C’è già questo vino nuovo nella storia, siamo chiamati a metterlo in evidenza, perché gli uomini ritrovino la sapienza, la saggezza, la bellezza dell’esistenza e comunichino questo prodigio di Dio che cammina con loro.
Sia Lodato Gesù Cristo
Preghiera dei fedeli
Padre Santo e Misericordioso,
hai mostrato nella nascita del Tuo Figlio nella storia di che cosa era fatto l’amore che hai sempre nutrito per il genere umano. Non solo ci hai fatti un po’ come te, ci hai chiamati ad essere proprio come te e, dunque, se la caparra che abbiamo ricevuto è già speranza di poter ottenere la vita divina , risorge nel nostro cuore il desiderio di ricercarti, di perdonare i nostri debitori, di riconciliarci con quelli che ci hanno fatto del male, di operare il bene in mezzo a questa storia di peccato e di morte, manda il Tuo Spirito perché posiamo portare a compimento questo progetto con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze.
Ti preghiamo Padre Santo e Misericordioso per la Chiesa, per questo luogo della storia che Tu hai scelto e preso come sposa perché dimostri agli uomini in ogni tempo come parli al loro cuore, attraverso quali vie li richiami alla santità e per quali mezzi li liberi dal male e dal peccato. Possa la Tua Chiesa parlare la lingua di questo tempo, raggiungere i lontani e farli diventare tuoi Figli.
Ti pregiamo Padre Santo e Misericordioso, per lo splendore di questa Luce che promana dall’incarnazione del Tuo Figlio, possano anche i nostri nemici godere del tuo perdono e del nostro, essere affrancati da ogni istinto cattivo che li porta a compiere o a dire il male, ti chiediamo per loro ogni Grazia.
Ti preghiamo Padre santo e Misericordioso, per la bellezza di questa Luce, che anche gli uomini che sono schiacciati dal dolore, dalla solitudine, dal senso di abbandono, dalla malattia e dalla morte, non disperino della salvezza, di poterti incontrare, rialzarsi e contemplare per sempre il Tuo volto.
Padre Santo e Misericordioso che in ogni tempo ascolti il grido dei tuoi figli e sempre decidi di incontrarli nel sacrificio del Cristo, degnati di benedire e santificare le intenzioni di questa assemblea, di ognuno di questi tuoi figli, possano conoscere la Tua volontà, amarla, desiderarla e metterla in pratica per godere ogni giorno della Tua vita,
Te lo chiedo per Cristo Nostro Signore