V Domenica di Pasqua

Anno liturgico B
29 Aprile 2018

Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8).

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

PRIMA LETTURA – Dagli Atti degli Apostoli (At 9,26-31)

In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

Salmo responsoriale Salmo 21.
R.A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea..

Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre! R.

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.R.

A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.R.

Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».R.

SECONDA LETTURA Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (1Gv 3,18-24).

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare

Cristo è luce
Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo
(Disc. 53)

«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all’amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l’amore della verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell’amore; non del solo credere, ma anche dell’operare. L’evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).
Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore«(Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall’amore con cui muoio per le pecore.
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall’atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch’è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l’anima si sazia senza fine del cibo della vita.
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S’infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s’infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.
Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.

Trascrizione dell’Omelia

C’è un Salmo che dice: “Una vite hai sradicato dall’Egitto, per trapiantarla hai espulso i popoli” (Sal 79,9), questo Salmo si riferisce ad Israele, un popolo preso dall’Egitto, strappato e ripiantato in Israele perché affondi le sue radici e porti i suoi rami dal mare fino al fiume, cioè si distenda in quel pezzo di terra, tutto sommato neanche tanto, che Dio gli aveva donato. E guarda, Dio usa tramite il salmista, questa immagine della vigna perché è veramente un’immagine paradossale, la vigna non si può trapiantare, si può rimettere un tralcio perché rinasca ma non si può trapiantare perché ha radici profondissime, non si può di certo sradicare e trapiantare. Dunque quello che ha in mente questo popolo quando si vede come una vite, così come è abituato a pensarsi anche nell’Antico Testamento, si immagina di avere delle radici profonde che affondano nella sapienza della Torah, cioè della Legge, cioè del rapporto che Dio ha stipulato con questi uomini nell’alleanza che Dio ha promesso alla quale sarà sempre fedele. Dunque si percepisce che affonda le sue radici nella Torah e con i suoi tralci può raggiungere tutte le nazioni, tutti gli uomini, può versare il frutto che porta la linfa di queste radici, a tutti gli uomini, questa sapienza della Torah Israele la vive, la esprime e la regala agli uomini di tutte le nazioni perché possano crescere e conoscere Dio ed amarlo, questa era la vocazione del popolo di Israele, quel popolo di Israele. Ma quando Gesù inaugura un nuovo modo di pensare la Legge di Dio e stipula una nuova alleanza con questo popolo, ci troviamo in questo brano al capitolo XV del Vangelo di Giovanni, sapete cominciava con: “In quel tempo .. ”, ma quel tempo era quella sera, quella famosa sera quando gli apostoli stavano con lui tutt’intorno mentre si stava per celebrale l’Ultima Cena e Gesù racconta loro quali sono i progetti per questo popolo nuovo, sta dicendo loro: “Non foste voi forse appartenenti di un popolo che era concepito come una vigna? Bene, anche io vi faccio come una vigna, vi faccio affondare le radici non più su una realtà scritta sulle tavole di pietra o sui rotoli, vi faccio affondare le radici su una sapienza che sarà sempre con voi”, questa sapienza è lo Spirito Santo che Egli donerà e la cui venuta noi stiamo per celebrare di nuovo, questa sapienza vi metterà nelle condizioni di sapere sempre da Dio quello che Egli vuole da voi e vi mette nelle condizioni di portare un frutto buono alle generazioni che verranno, a tutti gli uomini. Come Israele aveva questi frutti per nutrire gli uomini di quell’epoca, così a noi, alla Chiesa, è stata data la capacità di nutrire tutti gli uomini, di tutte le latitudini, ovunque. Però dice Gesù: “Bene, perché questa vite porti frutto, è necessario che si taglino gli aspetti che non servono più” e sapete, chi ascoltava queste cose sapevano quali erano questi aspetti, non sta parlando dei peccati, sta parlando di certe pratiche legate all’obbedienza alla Torah che sarebbero state sostituite da altre pratiche. Dice Gesù ad un certo punto in questo brano: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, lo raccolgono lo gettano nel fuoco e lo bruciano”, nel ’70 dopo Cristo tutto il Tempio andò in fiamme, tutta quella pratica che riguardava l’antico sacrificio va in fiamme, viene bruciata, quasi tagliata via da questo nuovo modo di relazionarsi con gli uomini delle generazioni. Dunque chi ascoltava queste parole aveva la sensazione netta di trovarsi veramente in un tempo nuovo, in un mondo nuovo, con una vocazione nuova, che ha radici antiche, in una Torah mediata dalla persona di Gesù, una Legge incarnata dal Figlio di Dio, ritradotta in un modo possibile, non più solo per alcuni: per tutti e tuttavia una modalità nuova di metterla in pratica. C’è una frase che forse l’uomo non ha mai imparato, che noi non abbiamo mai imparato, di cui non ne abbiamo mai imparato il senso ed è contenuta proprio in questo luogo, Gesù dice: “Senza di me non potete far nulla”, la fortuna della nostra capacità di essere discepoli, di essere apostoli, evangelizzatori in questo tempo, non sta nella modalità in cui celebriamo i nostri riti, la fortuna di questa possibilità sta nella capacità di rimanere legati a lui, di conoscere lui, di affondare le nostre radici nel suo cuore, di fare come ha fatto lui, non è forse morto per noi? Cosa ti sarà chiesto se non di morire per il tuo prossimo? Non ti ha forse amato quando eri peccatore? Che cosa ti è chiesto se non amare chi è nel peccato anche se è ancora nel peccato? Non hai forse creduto in Uno che ha la capacità di darti lo Spirito? Non ti sarà chiesto allora di donare a tua volta lo Spirito all’uomo che incontri, al tuo prossimo? Dunque senza di lui non possiamo far nulla, non ti sforzare di fare cose che nessuno ti ha chiesto, ma chiedi al tuo cuore, diceva la Lettera di Giovanni, se il vostro cuore non vi rimprovera nulla, se il vostro cuore si libera dai sensi di colpa, chiedete al vostro cuore che cosa ha imparato da Dio, che cosa lo Spirito gli sta suggerendo e che cosa ti è chiesto di mettere in pratica, tutto il resto verrà tagliato via, servirà a poco. Ma in questo sperano le nazioni, in questo spera l’uomo contemporaneo, non credere in una fede privata, non ti chiudere nella tua devozione personale, fa della tua vita un luogo di conoscenza e di pratica delle cose di Dio e questa generazione che è in grande difficoltà, per la tua fede si salverà. Sia lodato Gesù Cristo.

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