Piccolo Bet Midrash

La lettura e la ricerca alla Scuola
25 Settembre 2021

“In questo luogo c’era Dio e io non lo sapevo” il libro di Lawrence Kushner sull’esclamazione di Giacobbe

“Il figlio di Bag Bag diceva: «Volgila e rivolgila, che tutto è in essa [la Torah]»” (Avot V, 21).

“Abbaje dice: Siccome la Scrittura dice: «Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite, è questa la potenza di Dio (Sal 62,12), [se ne deve dedurre che] un solo passo ha sensi molteplici» (Talmud Babilonese, Sanhedrin 34a in De Benedetti, Introduzione al Giudaismo).

Questi passi, provenienti da alcuni dei testi che fondano la vita di preghiera e la prassi dello studio della parola di Dio in seno alla tradizione ebraica, sembrano proprio costituire l’impalcatura fondamentale dalla quale Lawrence Kushner ha avviato la redazione di «In questo luogo c’era Dio e io non lo sapevo. Sette commenti a Genesi 28,16».

Titolo e sottotitolo del libro già offrono al lettore un’idea di quali siano i due principali binari sui quali si muoveranno gli argomenti e le riflessioni dell’autore. Il primo è costituito innanzitutto dalla Torah – rivelazione di Dio a Mosè sul Sinai, da cui tutto parte – che nel versetto 16 del capitolo 28 di Genesi diventa proprio il titolo dell’opera: Giacobbe che, al risveglio dal sogno della scala sulla quale salivano e scendevano angeli, con stupore esclama: «In questo luogo c’era Dio e io non lo sapevo». Poi, il secondo binario, il sottotitolo, Sette commenti a Genesi 28,16, si aggancia e compie quell’esortazione precedentemente citata del maestro figlio di Bag Bag circa la capitale importanza di non fermarsi alla superficiale lettura del testo sacro, ma di aderire alla parola di Dio, permanendo con essa, meditandola e consumandosi in lei, ricercando significati e commentando le sue parole giacché, come egli stesso afferma, non vi è nulla di meglio.

Inoltre, il resto del libro mostra, con i suoi sette capitoli dedicati a sette possibili modalità di interpretare l’esclamazione di Giacobbe alla fine del sogno, la veridicità del versetto 12 del salmo 62, richiamato in precedenza, circa la molteplicità di sensi che il fedele che prega, ricerca e pratica le vie di Dio ha la possibilità di far scaturire dalla lettura di un solo passo.

Ma questa cifra che caratterizza la struttura del libro di Kushner, cioè la prospettiva di una molteplicità di sensi e di interpretazioni di un solo versetto, non deve mandare in confusione il lettore; al contrario, vale la pena ricordare che non vi è alcun contrasto insanabile o inconciliabilità nell’opportunità di disporre di diverse interpretazioni di un testo, sempre e quando questa ricerca nel significato sia fatta appoggiandosi ai cardini della fede trasmessa dai padri e dal Testo stesso. In Qohelet 12,11 leggiamo, infatti, che: “Le parole dei saggi sono come pungoli, e come chiodi piantati sono i detti delle collezioni: sono dati da un solo pastore”; come a dire che al fedele è sempre dato di cogliere, in tale possibilità di estrapolare diverse letture provenienti da uno stesso passo, quell’armonia che esse, in ultima analisi, compongono giacché cooperanti alla proclamazione dell’unica, integra verità da cui provengono.

Lawrence Kushner, rabbino, scrittore e docente universitario originario del Michigan, decide allora di presentare al lettore questi sette commenti al versetto di Genesi in maniera originale e coinvolgente. Il testo non si configura, infatti, come una trattazione degli argomenti in forma di saggio, ma si svela come un dialogo profondo ed esistenziale basato su una modalità di relazione assai cara al mondo ebraico: quella che si svolge tra allievo e maestro nel cuore della ricerca.

Per comprendere allora i tratti fondamentali di questo originale svolgimento del libro, è bene rammentare che innanzitutto, come ricorda Paolo De Benedetti, è il Testo stesso che spinge il fedele alla ricerca continua che è originata dall’atto di “interrogarsi”:

La domanda e la ricerca percorrono già la Bibbia, dal giorno in cui Dio chiese ad Adamo: «Dove sei?» (Genesi 3,9), alle parole che l’ultimo profeta, Malachia, mette in bocca a Israele: «Dov’è il Dio della giustizia?» (Ml 2,17). «Cercate il Signore e vivrete», dice Amos (5,6) […]. (De Benedetti, Introduzione al Giudaismo, p.104)

E proprio in questo libro di Kushner, il senso profondo della domanda posta ad Adamo insieme quello dell’interrogarsi di Malachia sembrano in un certo qual modo convergere e riunirsi nell’affermazione di Giacobbe: «In questo luogo c’era Dio e io non lo sapevo». Dov’è Dio? Dov’è l’uomo? Qual è il luogo in cui i due si debbono incontrare? Cosa vuol dire essersi accorti della presenza di Dio e ammettere di non averla precedentemente considerata? Secondo Kushner, queste domande devono essere investigate attentamente proprio partendo dalla stessa affermazione– che costituisce il titolo del libro – fatta da Giacobbe, il quale, appena pronunciate quelle parole, chiarisce Kushner, ancora deve comprenderne la reale portata.

Allora, in che modo l’autore mette in scena questa ricerca che si fonda sul principio del “domandare”? Proprio come è stato precedentemente detto: attraverso la dialettica che costituisce la relazione tra allievo e maestro, assolvendo in tal modo al fondamento della tradizione ebraica di ricerca e di studio riassunto nelle parole di Gamaliele: “Procurati un maestro e togliti ogni dubbio” (Avot, 1,6). Kushner, dunque, decide di assegnare a Giacobbe – allievo – ben sette diversi maestri, i quali si identificano, nel libro, proprio con i messaggeri che salgono e scendono dalla scala. Quindi, nella narrazione dell’autore, non si tratta più di anonimi angeli, ma di sette figure importanti, realmente esistite (uomini e donne, tra cui Rashi, il rebbe di Kotzk e la rebbe Hanna Rachel di Ludomir, per citarne alcuni), che sono entrati a far parte del novero di sapienti nella tradizione rabbinica – in particolare nel mondo dell’ebraismo cosiddetto ortodosso – di studio e commento della Torah.

Ogni capitolo, dunque, presenta un maestro. Ovunque l’autore trova spunti per arricchire il lettore con accenni alla vita e ai contenuti salienti propri del pensiero di ogni rebbe in relazione alle tematiche affrontate. In ogni paragrafo, poi, vicende, detti, piccoli racconti e riflessioni personali di Kushner si trasformano a poco a poco in profondi suggerimenti che lasciano al lettore un accesso privilegiato al cuore dell’insegnamento che il patriarca, nella narrazione dell’autore, riceve da ogni rebbe che lo visita. In chiusura di capitolo, allora, riemerge il dialogo tra i due personaggi – il maestro e Giacobbe – da cui tutto sembra cominciare, adesso delucidato e consolidato dal percorso che Kushner ha segnato per il lettore, paragrafo dopo paragrafo.

Il tragitto che l’autore – considerato uno dei teologi più originali d’America – percorre capitolo dopo capitolo coinvolge il lettore nella dimensione più autentica e controversa della propria esperienza di vita (l’io ferito e diviso che è alla ricerca di accettazione e integrazione, il male, la storia, la consapevolezza del proprio esserci in rapporto al mondo e a Dio) proponendo sempre originali e profondi punti di vista che allargano e amplificano la possibilità di leggere la propria storia in rapporto al dramma esistenziale di Giacobbe che, in ultima analisi, diventa paradigma del dramma esistenziale di ogni fedele.

Inoltre, l’autenticità nel desiderio da parte di Kushner di indagare la volontà di Dio in maniera attiva e incarnata nella problematicità della nostra esperienza di vita quotidiana, attraversando anche dimensioni controverse come quelle presenti nel capitolo dedicato alla malvagità assegnato alla rebbe di Ludomir, garantisce a chi legge sia quella fiducia necessaria che si deve instaurare sempre con l’autore di un testo circa il sapersi da lui sapientemente condotti, sia il mantenimento di un vivo interesse durante la fruizione del libro accompagnato da una promessa certa: quella di approdare, a conclusione della lettura, ad una grande e meravigliosa prospettiva che, siamo sicuri, produrrà nel cuore di chi legge interessanti eco con alcuni fondanti elementi della nostra fede cristiana.

Forse non importa considerare quanto sia in alcune occasioni duro questo cammino insieme a Lawrence Kushner, di certo una buona porta per accedere a questa lettura – suggeriamo – è costituita dalle parole di Carlo Maria Martini che afferma:

L’immagine della scala che poggia sulla terra e la cui cima raggiunge il cielo, ci rivela che Dio si interessa di me, degli eventi della mia vita, delle mie quotidiane difficoltà che io solo conosco, e che misteriosamente mi avvolge e mi è propizio. (Martini, Il sogno di Giacobbe, p.18)

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1 Risposta

  1. filippo

    La relazione tra Dio e l’uomo parte sempre da Dio . E’compito dell’uomo di
    accettare o meno questa iniziativa divina nel pieno esercizio del libero arbitrio.
    Dio è fedele sempre , l’uomo no a causa del peccato originale .

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