Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò
Messa della mattina
LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
E gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.
Lode e onore a te, Signore Gesù.
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco (Mc 14,1 – 15,47)
Cercavano il modo di impadronirsi di lui per ucciderlo
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
“Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi a? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva a. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei? ». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi a? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più a, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
PRIMA LETTURA – Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
Salmo 21 (22)
R. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!». R.
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa. R.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto. R.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele. R.
SECONDA LETTURA – Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2, 6-11)
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele”
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.
Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.
Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.
Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi, in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».
TRASCRIZIONE dell’OMELIA
Tanti motivi, come tanti personaggi, si incrociano in questa vicenda che noi saremmo erroneamente tentati di interpretare come un fatto accaduto nel passato, un fatto cruento, drammatico, tragico anzi, che ci mette in difficoltà tutte le volte che lo osserviamo perché non sappiamo quale giudizi, quale valutazioni poter fare, come avvicinare il cuore a questi fatti e uscirne con il desiderio di essere convertiti, di essere perdonati. Vi dicevo molti personaggi, molte vicende, qual è il cuore di questi fatti? Certamente la condanna a morte di Gesù, la sua morte in croce, il fallimento di un progetto apparentemente solamente umano. Perché dico fallimento? Perché tutti quelli che hanno partecipato a questi fatti, lo hanno interpretato così, come un fallimento. Infatti gli apostoli non sono presenti nel luogo della crocifissione. Pietro, il capo degli apostoli, rinnega Gesù tre volte come Gesù d’altronde gli aveva annunciato. Gesù viene giudicato ma da chi? Da un sommo sacerdote che è esautorato delle sue funzioni. C’è un’azione che fa il sommo sacerdote, che forse alle vostre orecchie non ha destato molto interesse, quando si straccia le vesti, c’è una parola nella Legge di Israele, nel Levitico, che dice che quando il sommo sacerdote si straccia le vesti vuol dire che egli non può più essere il sommo sacerdote. Segno che davanti al giudizio di Gesù se uno non riesce a vedere chi è Costui e che è il Figlio di Dio, il Cristo, l’Unto, il Messia, l’Atteso, costui perde ogni autorità, anche se è il sommo sacerdote di Israele. E poi chi è che lo condannerà a morte definitivamente? Pilato. Dunque uno che non fa parte del popolo eletto. Con quali categorie lo condannerà? Con le categorie della ragione umana, nel modo di pensare umano, esattamente con le stesse categorie con le quali noi giudichiamo i fatti, non solo quelli della storia ma anche i fatti della fede. Non li giudichiamo mai a partire dall’esperienza e dalla fede in Gesù Cristo, li giudichiamo a partire da quello che ci sembra ragionevole o non ragionevole. Quasi, quasi usando un’altra moneta, un’altra misura, un altro modo di pensare rispetto a quello che invece sarebbe più opportuno, non solo nei confronti della Passione di Gesù, della sua condanna a morte, ma nei confronti di quella Passione di Gesù che si perpetua nel tempo e che è incarnata nella storia di molti uomini che soffrono, di molte realtà che sono in difficoltà soprattutto in questo tempo. Allora vedete come questa pietra angolare sia divenuta una pietra di inciampo per tutti quelli che vi si sono avvicinati senza sapervi intravvedere la volontà di Dio. Ma Gesù Stesso sposa questa difficoltà dell’uomo, Egli Stesso entra in questo paradossale sconcerto della realtà umana, fino al punto da intercedere in modo speciale per questi che hanno il cuore chiuso e gli occhi accecati alla volontà di Dio. Quando ormai la celebrazione della Pasqua si sta ultimando, arrivati al Getsemani, Gesù fa questa preghiera avendo lasciato i suoi apostoli un po’ lontani: “Padre a te tutto è possibile, se è possibile questo, passi da me questo calice”. Quante volte erroneamente abbiamo pensato che qui Gesù poiché era un uomo, ha sofferto come un uomo, ma se Gesù qui avesse sofferto come un uomo, avrebbe sofferto lui e non noi, avrebbe sofferto per Sé e per la propria pelle ma non per la nostra. Ma Egli conosce la volontà di Dio quasi fino alla fine, una cosa sola gli manca di conoscere, quale sarà il giudizio definitivo di Dio sulla storia. Quando lascia la relazione Trinitaria in modo così speciale prendendo la carne e assumendo la condizione di servo, come diceva l’Inno ai Filippesi che abbiamo ascoltato (Fil 2), fino a diventare umile obbediente come uno schiavo, Gesù impara gradualmente, dice la Lettera agli Ebrei (Eb 5,8), gradualmente dalle cose che patì impara qual è l’obbedienza, quella che Adamo, quella che ogni uomo ha infranto, ha misconosciuto. Impara l’obbedienza e gradualmente mentre impara l’obbedienza, prende consapevolezza di quel rapporto che Egli ha con il Padre nello Spirito Santo, un rapporto diverso da quello di tutti gli uomini. Dunque Gesù fino a quella notte, decide di fare il cammino dell’uomo fino al margine, fino al ciglio del burrone della morte, fino al momento in cui, come ogni uomo, deve entrare nel baratro della morte. Non stanco, Lui vuole entrare in questo baratro, Gesù lo dice: “Io per questo sono venuto, che dirò Padre salvami da quest’ora? Non posso dirlo. Perché? Perché io sono venuto per questo, per quest’ora sono venuto” (Gv 12,27). Dunque voi capite bene che non può dire al Padre: “Risparmiami questo calice”. “Si ma ha avuto paura alla fine”, Gesù non ha mai avuto paura, se Gesù grida così insistentemente, con questa supplica così struggente nel Getsemani, è perché guarda la realtà dell’uomo, la vede ancora incapace, ancora non nelle condizioni di aderire totalmente al piano di Dio, si accorge che l’uomo non è cresciuto in questa obbedienza. Lo abbiamo visto, il sommo sacerdote, Pilato, tutti i giudei, nemmeno i suoi apostoli, nessuno ha la capacità di entrare nel giudizio di Dio e lui era venuto per questo, per inaugurare il tempo del giudizio di Dio, la sua morte avrebbe siglato l’inizio del giudizio universale. Chi si sarebbe salvato? Chi avrebbe potuto entrare in questo giudizio universale? Quelli che lo hanno trafitto? Quelli che lo hanno condannato? Ma come potevano essere giudicati? Erano cattivi? Erano stolti? Erano empi? Qual’era la loro colpa davanti a Gesù? Chi può dirlo? Chi di noi può dire qual’era la colpa del sommo sacerdote o la colpa di Pilato? Potremmo semplicemente dire: “Erano uomini malvagi”? Qual è la tua colpa davanti alla Passione di Cristo? Lo puoi dire? Sei forse un uomo malvagio? Eppure tu sai di essere colpevole, tu sai che l’obbedienza non ancora perfetta della tua vita è colpevole di non averti fatto entrare in comunione piena e totale con il Signore. Come si farà a giudicarti? Chi potrà giudicarci, il Salmo (Sal 129) dice: “Signore se consideri le colpe, chi potrà sussistere, ma presso di te è il perdono perciò avremo il tuo timore”. E come questo perdono si è operato? Perché ci ha perdonato? Perché quella notte il tuo Figlio Benedetto, ti ha chiesto una cosa per tutti noi, ti ha chiesto di non farci bere il calice dell’ira. Lo ha bevuto lui per noi il calice dell’ira, l’ultimo della celebrazione pasquale degli ebrei, la quinta coppa. E aspetta il ritorno di Elia per essere bevuta. Ebbene Elia era venuto, era Giovanni il Battista, lo dice Gesù: “Giovanni è quell’Elia che doveva venire” (Mt 17,11-13) dunque è cominciata l’era messianica, dunque il giudizio universale sarebbe pronto, addirittura alla morte di Gesù dice la Scrittura che alcuni cominceranno a camminare dentro Gerusalemme uscendo dalle tombe, alcuni morti risuscitarono (Mt 27,5154), proprio le categorie, le caratteristiche, del giudizio universale, la resurrezione dei morti e il giudizio. Ma Gesù ha chiesto al Signore: “Sposta da me questo calice, spostalo almeno da loro”, lo beve lui nella morte e viene risparmiato a tutta l’umanità fino al giorno in cui lo berranno quelli che hanno fatto le opere del demonio, fino alla feccia ne dovranno sorbire, dice la Scrittura (Sal 75,9), ma grazie a questo sangue che Gesù a versato a noi è risparmiata questa condanna e quando noi ci accostiamo al suo sangue per berlo, al suo corpo per assumerlo, noi siamo di nuovo messi al riparo da un giudizio che ci trovi in difficoltà, ci trovi nell’incapacità di essere perdonati a causa dei nostri peccati. Allora Gesù, proprio secondo la sua grandezza e la sua potenza, ci mette al riparo, ci fa passare di nuovo in questo mare che si è aperto, la disobbedienza degli uomini, il giudizio universale. Ci fa passare tenendo le sponde di questa storia ben distanti perché tutta l’umanità possa giungere alla comprensione tutta intera del mistero di Cristo. Guardate, c’è un’espressione in questo racconto lungo che abbiamo fatto della Passione, che ci fa capire qual è il cuore del progetto di Dio, quando vanno verso il Monte degli Ulivi Gesù dice una espressione che è vera fino ad oggi e fino all’ultimo giorno e dice: “Tutti rimarrete scandalizzati, tutti. Perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse” e questa è la tua sorte, sempre lo sperimenti, quando viene meno la tua consapevolezza dell’amore di Dio, quando ti senti solo e ti manca la grazia di capire che cosa sta facendo Dio nella tua storia, i fatti che accadono ti scandalizzano, la malattia ti scandalizza, la morte ti scandalizza, le calunnie degli altri ti scandalizzano, tutto quello che ti viene contro ti scandalizza, perché non vedi più la croce di Gesù Cristo. Ma continua Gesù: “Ma dopo che sarò risorto vi precederò in Galilea”, dunque prima ancora di donare Se Stesso, Egli sa che non saremo capaci di riconoscerlo, che noi potremo tradirlo ma quando sarà risorto, quando tutto sarà compiuto, quando lui avrà riconsegnato il mondo al Padre, allora noi potremo riconoscerlo nella storia “in Galilea”, in quella storia della nostra vita in cui ancora ci resta così difficile intravvederlo, così difficile celebrarlo, così arduo riconoscerlo, in quella storia in cui secondo noi Gesù è piuttosto assente, la volontà di Dio è piuttosto lontana, la sua grazia è piuttosto difficile da ottenere. Allora con questa parola noi entriamo per questa porta fino al Santo dei Santi, fino al luogo in cui il Signore ci ottiene questa grazia e ci usa misericordia. Entriamo nella Pasqua del Signore da questo giorno e meditiamo tutti i misteri che riguardano questo tempo così forte, così grande, così meraviglioso e tremendo allo stesso tempo, come è la nostra vita, meravigliosa e tremenda reinterpretata dall’obbedienza del Cristo. E possa lo Spirito di Dio che portò Gesù nel deserto per quaranta giorni ed ha accompagnato te in tutto questo tempo di conversione, farti entrare adeguatamente in questo mistero.
Sia lodato Gesù Cristo.
Messa Vespertina
TRASCRIZIONE dell’OMELIA (Messa Vespertina)
Tutte le volte, ogni anno, che ascoltiamo la Passione di nostro Signore Gesù Cristo, ci sembra che più che assistere al racconto, alla cronaca dei fatti accaduti, ci pare di stare davanti ad un dramma, alla sceneggiatura di un dramma, molte delle cose che accadono le conosciamo, su alcune abbiamo la pretesa di sapere ma sempre il nostro sguardo rimane attonito, sempre comprendiamo che ci manca qualcosa per entrare in questo dramma non più con la nostra intelligenza, non più e non solo con la nostra capacità di capire ciò che è accaduto o di raffigurarcelo ma di sapere cosa Gesù avrebbe voluto dirci in quell’ora. Allora possiamo tentare anche quest’anno una visita in questi luoghi, in questa realtà in cui Gesù ha vissuto questa passione, possiamo entrare con lui nella sera della Pasqua, nella sera in cui, come racconta Marco, Gesù celebra l’avvenimento Pasquale insieme ai suoi apostoli, insieme ai suoi amici, come ogni pio israelita anche lui racconta i fatti dell’Esodo, i fatti che hanno liberato questo popolo, che hanno visto la liberazione di questo popolo, dentro una liturgia domestica, familiare, così familiare che c’è una sala pronta per loro ad attenderli così come Gesù gli ha profetizzato. Chi ha davanti? Ha davanti i suoi amici, quelli che hanno visto i prodigi che ha fatto, lo hanno visto guarire i lebbrosi, ridare la vista ai ciechi, perfino la vista ad un cieco nato, resuscitare la figlia di Giairo, tante cose hanno visto nella sua predicazione, tante cose hanno compreso, di tante cose sono stati testimoni e lo saranno. Eppure quella sera il rito cambia e Gesù invece di dire ciò che era pensato dentro il racconto della liberazione della Pasqua, cambia i motivi di questo racconto fino al punto di sostituire quel pane dell’afflizione e quel vino dell’entrata nella Terra Promessa con il pane e il vino come il corpo ed il sangue che avrebbe assicurato loro la presenza di Gesù fino alla fine del tempo. Dunque già un anticipo di quello che sta per celebrare. Sta dicendo loro: “Sappiate che io sto entrando in un’ora drammatica, che questa Pasqua sarà l’ultima e io non berrò più questo calice fino a quando non lo berrò nuovo nella casa del Padre mio”. Ma è un paradosso, lo capisci? Ci sono molti che non capiscono, uno che addirittura lo tradirà, che lo venderà per trenta denari. Ma chi penserebbe di entrare in un momento così drammatico, con una spaccatura così forte, con una contraddizione così pesante all’interno quasi della sua famiglia. E poi un susseguirsi di fatti così paradossali… una donna lo viene ad ungere con il nardo e gli altri si scandalizzano, non comprendono quello che sta accadendo, veramente sono ignari, hanno ascoltato il suo insegnamento ma non sanno tradurlo in pratica, non sanno leggerlo dentro quello che sta accadendo. Sembra proprio la nostra storia, che ascoltiamo le parole, diciamo di comprenderle ma non riusciamo mai a capire come poi possano sposarsi con la realtà. Poi dopo questo rito, dopo aver bevuto la quarta coppa, dopo aver fatto ogni benedizione e cantato l’inno dell’Hallel, del Grande Hallel (Sal 135), Gesù si incammina verso il Getsemani, questo luogo, questo frantoio delle olive, quasi come se lui debba essere pressato per far uscire l’olio che fa brillare il volto dell’uomo (Sal 103,15), è l’estremo sacrificio e qua noi rimaniamo tutti attoniti a guardare e a sentire quello che Gesù ha da dire al Padre. Ci fa effetto che proprio questo Gesù che ha detto tante volte: “Io sono venuto per questo” …, “Non posso dire: “Padre liberami da quest’ora”…, “E’ per questo che sono qua”…, “Come vorrei che questo battesimo io l’abbia già ricevuto”…. e sta riferendosi alla sua morte, proprio in questo momento in cui sta per accadere ciò che Egli Stesso desidera, pare dire al Padre: “Non lo voglio fare più, non me la sento più”, sarebbe un paradosso. Perché Gesù potrebbe dire questo al Padre? È vero che Egli non sa ancora come il Padre porterà a compimento questo progetto che lui obbedientemente ha sposato, però non possiamo pensare che lui si sia pentito di quello che ha fatto. Che cosa dice allora al Padre? “Padre tutto è possibile a te, tu puoi evitare che io beva questo calice, passi da me questo calice”, fa riferimento al calice, noi possiamo pensare forse alla quinta coppa quella della cena pasquale, quella quinta coppa che sarebbe stata versata al ritorno di Elia, in realtà si dice al ritorno di Elia per dire quando ci sarà la fine del mondo, quando arriverà Elia come a dire: “E’ arrivato il momento del giudizio, quando finalmente Dio si assiderà in trono e comincerà a giudicare tutte le nazioni”, era questo che ci si aspettava. La morte di Gesù compie tutto il suo mandato, finalmente si può entrare nel giudizio universale. Ma Gesù sente la pena dentro, terribile, tremenda, perché se da una parte conosce la grandezza di suo Padre, dall’altra la debolezza dei suoi fratelli, dei suoi amici, nessuno sa più come mettersi davanti a questo progetto di Dio, i discepoli dormono, perfino le colonne, Pietro, Giacomo e Giovanni, così li chiama San Paolo (Ga 2,9), perfino loro stanno dormendo non ce la fanno ad entrare in questo dramma e dopo di questo tutti i personaggi mostreranno atteggiamenti sproporzionati, fuori di ciò che ci si poteva attendere. Il Sommo Sacerdote si straccia le vesti quando Gesù dice: “Io sono il Figlio di Dio” e dice il Libro del Levitico che quando il sommo sacerdote si straccia le vesti viene esautorato dalla sua carica e lui lo sa questo perché conosce la Legge, dunque sa che questo suo gesto dice la fine del sommo sacerdozio ma quasi non se ne rende conto. Pilato ha il giudizio del diritto romano in mano, potrebbe fare benissimo un giudizio autentico ed equilibrato ma anche lui non sa che fare paradossalmente. La gente potrebbe difendere Gesù, ha visto i suoi miracoli, ha sentito i suoi insegnamenti, non dice il perché Gesù è reo di morte, dice solo che deve morire, ha già il verdetto in mano, strappa a Roma la possibilità di emettere il verdetto. Come vedete, nessuna autorità che potrebbe farlo si mette veramente davanti al fatto di Gesù in maniera corretta. Gesù sa tutto questo, sa che il mondo non è pronto, sta dicendo al Padre: “Questo calice dell’ira che tu hai pensato di versare nell’ultimo giorno quando comincerai a giudicare le nazioni, questo calice che tu farai bere ai nostri nemici fino alla feccia, come è scritto, fa che lo beva io, lo bevo nella morte ma risparmialo a loro”, chiede a Dio una dilazione per questi figli, chiede al Padre di fermare il tempo, se è possibile dire così o di creare uno squarcio nel tempo, separare la storia di Israele con tutte le sue profezie e il tempo del giudizio con tutto il suo esito. E si mette lui dentro questa fenditura della roccia (Es 33,21-22) perché Israele passi per questo mare che si è aperto e questo mare è la storia e questo mare è la tua storia e questo mare è la chiesa e tu in questa chiesa stai qua a guardare come Dio ti ha chiamato per mettere insieme la speranza di un testamento che ormai è terminato con un giudizio che deve prodursi. Alla tua vita è chiesto di legare insieme la fede dei Padri e di consegnarla al Giudizio Universale dove tutti quanti noi andremo e sei chiamato a studiare in questo tempo, a guardare con attenzione nelle cose della tua vita, nello spaccato della tua esistenza come il Signore dà alla tua carne, alle tue facoltà la possibilità di mettere insieme questo paradosso. A te non è chiesto di dormire, a te non è offerta la sofferenza senza parole, a te è offerta una speranza che ha la capacità di tenere queste sponde ben distanti affinché tutta l’umanità arrivi fino alla comprensione sia di questo mistero sia del mistero eterno di Dio di salvare tutti i suoi figli. Allora come entriamo in questa settimana? Non come uomini che un po’ ipocritamente compiangono la sofferenza di Gesù non sapendosela né rappresentare né assimilare alla propria sofferenza. Entreremo in questa Settimana Santa chiedendo a Dio: “Signore, il segmento unico della mia vita, dove lo porrai in questo progetto? Dove mi metterai? Che cosa mi è chiesto perché io porti questo popolo fino alla fine? Come abiterò questo squarcio della storia che il tuo Figlio ha fermato per me perché io fossi consapevole di questo dono di grazia?”. E questo cercheremo di scorgerlo nel fianco squarciato del Cristo, là andremo a guardare per capire di quale amore Dio ci ha amati. Possa lo Spirito in questi giorni condurre il tuo spirito non solo alla comprensione di questi fatti ma anche alla scoperta della tua vocazione. Questo la chiesa auspica per te, questo la chiesa celebra in questo tempo, possa anche la tua vita liturgicamente ricelebrarlo fino alla venuta del nostro Signore Gesù Cristo.
Amen