Pentecoste 2012
LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
PRIMA LETTURA – Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
SECONDA LETTURA – Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 5,16-25)
Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge.
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare
LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO
Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo
(Lib. 3, 17, 1-3; SC 34, 302-306)
Il Signore, concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).
È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo.
Luca narra che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.
Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall’alto.
Il lavacro battesimale con l’azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell’anima e nel corpo in quell’unità che preserva dalla morte.
Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11, 2).
Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il Paràclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10, 18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato.
Il Signore affida allo Spirito Santo quell’uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore.
Trascrizione dell’Omelia
Era il giorno di Pentecoste, un giorno in cui Pietro, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato, dopo aver fatto l’esperienza delle lingue di fuoco, mentre erano radunati con la madre del Signore nel cenacolo, esce verso gli israeliti e comincia a predicare la buona novella del Regno, raccontando loro come quella primizia che è il Cristo, morto e risorto, che quell’uomo che essi hanno giudicato e accusato non riconoscendo in lui l’autore della vita, Dio lo ha resuscitato.
Dunque d’ora in poi comincia un nuovo modo di incontrare Dio, che stavolta si aprirà a tutte le genti. Sta scritto negli Atti degli Apostoli che vi erano là uomini di ogni luogo conosciuto, Parti, Elamiti, abitanti del Ponto, della Mesopotamia, avete ascoltato tutto quell’elenco di questi popoli. Dunque sentono tutti parlare nella propria lingua Pietro, tutti comprendono qual è questo annuncio. Ora, capite bene, questo potrebbe sembrare solo un prodigio, solo un miracolo eclatante, ma c’è una cosa che rassicura questi uomini che ascoltano Pietro, diversamente dai farisei che affermano “costoro si sono ubriacati di vino dolce” [At 2,13], come a dire “si sono inebriati con un vino da quattro soldi”, cioè del vino delle libagioni, non del vino della sapienza, ma di un vino inventato tra poche persone di poca cultura. Invece questi altri uomini accolgono questa parola e subito dicono a Pietro: “Che cosa dobbiamo fare?” [At 2,37], cioè “come possiamo aderire a questo annuncio, a questo messaggio che tu ci hai regalato oggi?”.
Qual era l’antefatto, qual era la disposizione di questi uomini? Io lo dico perché così forse possiamo anche noi riconoscerci come destinatari di questo annuncio di Pietro, come spettatori convocati, invitati, chiamati a questa Pentecoste. Innanzitutto, cosa stavano a fare questi uomini, questi stranieri a Gerusalemme? Erano là perché simpatizzanti del culto di Israele; è gente che conosce questa fede che ha il popolo di Israele e che si reca in quei momenti in cui Israele festeggia le sue feste più grandi. Questa di Pentecoste è appunto una delle grandi feste tuttora esistenti in Israele, chiamata Shavuòt, cioè la Festa delle settimane. Ricorda sette settimane dopo la Pasqua, fa memoria di tutto il tempo in cui, durante la mietitura prima dell’orzo e poi del grano, questo popolo fa il suo pellegrinaggio annuale a Gerusalemme per offrire le primizie di questo raccolto al Santo di Israele, quindi al Tempio. Allora era una grande convocazione che riguardava tutto il popolo proveniente da tutti i luoghi di Israele. Questi venivano a vedere questo prodigio. Ma perché veniva festeggiata questa festa? Perché ricordava anche un abbondante raccolto che Israele farà all’origine della sua esperienza come abbozzo di un popolo, potremmo dire. Appena uscita dall’Egitto questa gente non ha punti di riferimento se non la memoria di ciò che Dio ha fatto quando li ha strappati dal Faraone, aprendo loro il mare dopo aver compiuto i prodigi delle dieci piaghe, ma soprattutto si fida di quello che sta dicendo Mosè. Si fida di un pastore che Dio gli ha dato, e che tuttavia questo popolo non ha ancora imparato a riconoscere come un pastore autorevole.
Allora sette settimane, cinquanta giorni dopo essere usciti, dopo essere stati partoriti quasi dall’Egitto, come un bimbo nuovo, un uomo nuovo che deve rinnovarsi secondo un nuovo modo di pensare, Dio viene in soccorso a questi uomini sul monte Sinai, quando chiederà a Mosè di portare alcuni perché possa finalmente donare la sua Torah, cioè il suo pensiero, la sua Legge. Noi diremmo, come san Paolo, quel pedagogo [Gal 3,24] che prenderà per mano Israele e lo condurrà gradualmente a capire chi è Dio, chi è l’uomo, cosa Dio vuole dall’uomo, ma soprattutto cosa Dio vuole dare di Sé all’uomo. La Torah è tutto questo, tutto il pensiero di Dio messo nella lingua dell’uomo perché egli possa sviscerarlo, entrarci con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze [Dt 6,5] e riconoscere il principio di Colui che lo ha chiamato e formato.
Allora voi capite che questo dono nel giorno delle settimane, cioè nella festa di Pentecoste è un dono preziosissimo, che riguarda tutti e che ha la capacità di cambiare il cuore di tutti proprio perché è l’inserzione di un pensiero nuovo sulla logica vecchia di questi uomini abituati ad essere schiavi in Egitto. Quando dunque questi Parti, Medi, Elamiti, abitanti del Ponto e della Mesopotamia si trovano a Gerusalemme nell’anno in cui è stato crocifisso nostro Signore, il giorno di Pentecoste stanno là a ricordare questa memoria e a dire: “c’è stato un giorno all’origine della nostra esperienza in cui il Dio dei nostri padri ci ha regalato il suo pensiero, ce l’ha posto nella mente, sulle nostre labbra, nel nostro cuore perché diventasse carne, perché fosse una parola illuminante e perché divenisse sapienza in mezzo ai poveri, agli orfani, alle vedove e a tutti i bisognosi di Israele per farne costantemente uomini secondo il cuore di Dio”.
Quel giorno dunque tutti questi personaggi si trovano là a guardare, diremmo noi, a guardare verso il cielo, ad aspettarsi un dono di grazia dall’Onnipotente. E’ interessante perché questo dono giunge, ne fanno esperienza gli apostoli, cioè i figli di un uomo nuovo, quelli che sono stati a loro volta chiamati ad essere uomini nuovi, santi sulla terra, chiamati cioè a ritradurre questo messaggio, questo pensiero, questa Torah di Dio, e stavolta perché veramente possano parlarla non solo gli appartenenti ad un popolo eletto, ma tutti i popoli della terra, abilitati a conoscere il pensiero di Dio, a muoversi dentro le sue vie, abilitati a vivere di questa grazia sovrabbondante che esce dalla bocca del Signore, quella per cui è scritto “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore” [Mt 4,4]. Si sentono meravigliati, perché in quel momento anche loro, che non sono ebrei, sono abilitati a sentire queste parole, questa sapienza, ad ascoltarla, comprenderla. Sono chiamati cioè a metterla in pratica, abilitati ad essere uomini autentici e addirittura collaboratori di Dio e del Cristo nell’edificazione del Regno.
Se avete compreso questo, capite anche qual è la domanda che questi uomini rivolgono a Pietro: “allora noi che dobbiamo fare?”. Questa volta è proprio la domanda giusta. Gli ebrei al monte Sinai avevano detto al momento della manifestazione di Dio, quando aveva consegnato loro la Legge: “noi la osserveremo, la metteremo in pratica” [Cfr. Es 24,7]. In questo momento questi uomini chiedono “come dobbiamo fare?”, cioè “come dobbiamo osservarla e come possiamo metterla in pratica?”. E qui c’è il mandato appunto ad evangelizzare tutte le nazioni. Questo è il grande fiume dell’evangelizzazione che procede da quell’insegnamento che il Figlio di Dio aveva consegnato ai suoi apostoli quell’ultima sera in cui, nel vangelo di Giovanni, come abbiamo ascoltato, sta raccontando loro come andranno le cose da quel momento in poi, come andrà a finire. Dice Gesù: “quando verrà questo Consolatore, quello che io manderò dopo che non ci sarò più, egli vi abiliterà. Adesso ci sono cose che non potete comprendere – Gesù sta parlando prima della resurrezione, cioè prima di un’esperienza convincente e autentica – ma quando vi troverete dall’altra parte di questo mar Rosso nel quale vi mostrerò di aver sconfitto la morte, vi dirò con quale linguaggio parlerete. Non parlerete più con il linguaggio che avete imparato nelle vostre case, non più con il linguaggio che usa il mondo per giudicare e condannare, per decidere ciò che è buono e ciò che non lo è. Parlerete il linguaggio con il quale siete stati formati, la lingua con la quale siete stati chiamati all’esistenza, la lingua stessa di Dio. Io ve l’ho acquistata, io stesso ve la consegno. Si chiama il Consolatore, lo Spirito di verità, verrà incontro alle vostre istanze, alle vostre esigenze, e davanti ai tribunali pagani non dovrete dire altro se non quello che il discernimento dello Spirito vi fornirà [Cfr. Mt 10,16-20]. Davanti agli uomini che vi accuseranno e vi odieranno non potrete e non dovrete dire null’altro se non ciò che lo Spirito accenderà dentro la vostra consapevolezza di chiamati”. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future [Gv 16,13]. Questo Spirito che viene da Dio e che condivide con il Figlio e con il Padre questa relazione d’amore eterna e per l’eternità, vi abiliterà a parlare un linguaggio di eternità, che valica le strettezze dell’esperienza umana, che valica le strettezze che la paura e il maligno vi hanno costruito intorno perché non riusciate mai a guardare il cielo. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà [Gv 16,14-15]. Sta dicendo Gesù: “quello che voi avete ascoltato da me, io ve l’ho raccontato perché l’ho visto dal Padre quando sono venuto dalla Trinità eterna. Là io ho contemplato, visto e conosciuto, sono venuto in mezzo a voi e vi ho tradotto, spiegato, mostrato con prodigi e segni come il Padre vi ama. Bene, io vi lascio un testimone che continuerà a convincervi, anche nei fatti della vostra vita, anche nelle situazioni estreme della vostra esperienza umana, come pensa Dio, come Egli vuole salvarvi e come potete collaborare con Lui”. Capite allora perché qui nasce la Chiesa, perché dalla Pentecoste nasce il linguaggio dell’evangelizzazione? Da quel giorno noi usciamo finalmente rinnovati, per dire al mondo, traducendo, coniugando e declinando nella lingua di questa generazione, tutto quello che Dio ha pensato da sempre. Non possiamo più allora rimanere chiusi dentro i ragionamenti funzionali “mi serve…lo prendo…mi piace…non mi piace…non lo amo più…me ne vado…adesso ricomincio…adesso faccio da me…”, siamo piuttosto chiamati a discernere in profondità nei fatti, ad aprirli e ad intravvedervi quel pensiero eterno che procede da Dio, che è nascosto come una perla nell’ostrica, sia nel cuore di tuo fratello, sia nella storia che vivi per intravvedervi il suo progetto di salvezza. E a questo sei stato abilitato nel giorno stesso in cui ricevesti lo Spirito Santo nel Battesimo e che ti fu confermato nella Cresima, quella presenza che ha veramente la capacità di farti vivere da uomo pneumatizzato, riempito dello Spirito, e non da uomo dipendente da quelle cose di cui parla San Paolo [Cfr. Gal 5,19-21], che non danno la vita,e che, forse lo hai già sperimentato, intossicano il tuo cuore, la tua esperienza e il tuo spirito umano e che non servono alla tua salvezza.
In questo giorno la comunione con il corpo e sangue del Figlio di Dio possa introdurti in questa consapevolezza, possa aiutarti a scovare ciò che già ti è stato regalato, ad investigare nelle profondità del dono Dio, perché tu viva nella mitezza, nella pazienza, nella carità, nel dominio di te, perché tu possa avere intelletto, sapienza, capacità di intuire, di realizzare questa chiamata che Dio ha pensato per te fin dall’eternità.
Sia lodato Gesù Cristo.