Solennità della Santissima Trinità 2012
LETTURE: Vangelo, Prima lettura e Seconda lettura
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
PRIMA LETTURA – Dal libro del Deuteronòmio (Dt 4,32-34.39-40)
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?
O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.
Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
SECONDA LETTURA – Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,14-17)
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!» Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
LA LETTURA DEI PADRI: per continuare a pregare
LUCE SPLENDORE E GRAZIA DELLA TRINITA’
Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo
(Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26, 594-595. 599)
Non sarebbe cosa inutile ricercare l’antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale.
La nostra fede è questa: la Trinità santa e perfetta è quella che è distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma è tutta potenza creatrice e forza operativa. Una è la sua natura, identica a se stessa. Uno è il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, è mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio, che è al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed è in tutte le cose (cfr. Ef 4, 6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo.
L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6).
Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito è in noi, è anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi è anche il Padre, e così si realizza quanto è detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dove infatti vi è la luce, là vi è anche lo splendore; e dove vi è lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia.
Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.
Trascrizione dell’Omelia
Dopo la Pentecoste, che chiude il tempo pasquale, dunque la contemplazione del mistero di Cristo, della sua passione, morte e resurrezione, e dopo aver anche contemplato la discesa dello Spirito Santo, cioè la restituzione all’uomo dei doni della Legge del Signore, come una realtà di cui l’uomo può vivere sempre e attraverso la quale santificarsi e con la quale incontrare anche l’altro uomo, ecco che oggi la Chiesa ci mette davanti all’icona della Trinità. Ci mette davanti, cioè, alla sintesi di tutto il mistero che Dio ha voluto manifestare in Cristo, il mistero che parla delle cose che riguardano Dio. Quando noi ci accostiamo a questa icona andiamo a cercare il linguaggio dell’Onnipotente. Quando la contempliamo nella sua paradossale Trinità e nella sua bellissima unità noi consideriamo come Dio ci ha voluto incontrare, conoscere, e come, conoscendoci, ha voluto che noi lo conoscessimo a nostra volta. E che cosa abbiamo contemplato? Abbiamo veduto una condizione di possibilità della fede, perché ci è venuta incontro non l’immagine di un dio pagano. Sapete come sono gli dei pagani? Sono uno solo e moltissimi dei, frastagliati e frammentati. Il dio pagano appare come un dio solo, un dio altissimo, quello che i nostri amici chiamano “un qualcuno, un qualcosa, un ente supremo, un’energia, una forza”, insomma, una realtà totalmente diversa da noi, alla quale noi dobbiamo cercare di piacere in qualche modo. Questo dio pagano è un cinico, è fatalista, è un dio che non parla di sé, ma che ci chiede a noi di parlare a lui in qualche modo. Ci fa sentire divisi, ognuno debitore verso di lui, nessuno in relazione autentica con lui. E’ un dio che non si mostra, che si sa che c’è ma non si sa com’è né cosa vuole. Il dio pagano è veramente un tiranno. Poi nel paganesimo c’è un dio frastagliato, cioè che appare e vive in tutte le cose, e allora tutte le cose diventano realtà che bisogna in qualche modo adorare. E di fatto la nostra venerazione e adorazione nel paganesimo di questo tempo della nostra vita ci obbliga ad inchinarci a tutto senza comprendere, senza capire. E mentre noi ci inchiniamo a un aspetto di questo dio pagano, altri si prostrano davanti a un altro aspetto. E così non ci incontriamo mai, non ci conosciamo mai, non entriamo mai in relazione. Un’idea frastagliata e frammentaria di Dio aiuta a frammentare anche la nostra storia, cosicché noi, nel paganesimo in cui viviamo usiamo spesso dire che noi viviamo la nostra vita fatta di alti e bassi, con momenti di grande comprensione e di grande lontananza. Sapete perché? Perché ci immaginiamo Dio così: uno che prima si fa molto sentire e poi sparisce. Dove? Nella consapevolezza? No, non certo nella consapevolezza. E allora dove? Nelle esperienze fugaci, che sono appunto frammentarie. Si fa incontrare e sperimentare nei bagliori falsi delle cose che serviamo, che crediamo di gustare, che ci piacciono, che ci recano piacere e emozioni apparentemente profonde.
E poi invece il Dio nel quale siamo stati battezzati. E’ un Dio che dice, nel libro del Deuteronomio, attraverso la bocca di Mosè: “guarda bene com’è la storia: quale Dio si è consegnato fino a questo punto? Qual è il Dio che ha compiuto dei prodigi in mezzo a te perché tu lo conoscessi? Quale Dio si è prodigato, oltre ad essere provvidente nei confronti della creazione che ha fatto con le sue mani, a mostrarsi, a volerti invitare a conoscerlo?
Guardate che Mosè, che sta dicendo queste parole nel Deuteronomio, che sta esprimendo qual è il disegno di Dio, è lo stesso Mosè garante del ricevimento della Torah sul Sinai. Cioè è un uomo, un profeta, che ha conosciuto questa vocazione, questa chiamata che Dio ha fatto nei suoi confronti perché tutti gli uomini penetrassero nel Suo pensiero ineffabile.
E’ lo stesso Dio che noi abbiamo conosciuto nella predicazione di Cristo. Anzi, diciamo che la nostra contemplazione della Trinità avviene proprio attraverso la porta che è Cristo, come dicevamo all’inizio. Avete ascoltato nel vangelo di Matteo, nel momento in cui Dio sta per lasciarli, sta per andare via dai suoi discepoli per ascendere al cielo, dà loro questo comando: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” [Mt 28,19], che non vuol dire “fateli diventare dello stesso gruppo al quale voi appartenete” oppure “sigillateli a fuoco perché appartengano ad una realtà identitaria”. Vuol dire piuttosto un’altra cosa: “fate conoscere all’uomo come si conosce Dio; che questo Dio che io vi ho annunziato si conosce come io ve l’ho mostrato, cioè nella relazione profonda, quella che io ho inaugurato in mezzo a voi. Nella relazione che vi rialza dalla morte, dalla povertà, dalla malattia, dalla lontananza nella quale vi trovate e vi fa specchiare dentro questo progetto e vi fa riconoscere dentro questo pensiero altissimo. Il Dio di cui io vi ho parlato è un Dio che ti vuole conoscere come Padre, dunque ti eleva alla sua dignità”.
Ma cosa vuol dire concretamente essere battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Vuol dire potersi avvicinare a questo Dio e al Suo progetto senza paura, senza quel timore che hanno i pagani quando si avvicinano a un’idea somma di Dio che li schiaccia. Significa guardare Dio e riconoscersi in Lui, perché quando lo guardiamo ci viene incontro l’immagine del Figlio che ci dice: “guarda come ti ho pensato. Ti ho pensato come me, ti riconosci? Riconosci la tua identità, il tuo volto nel mio volto?”. Quante volte abbiamo guardato il volto di Cristo e abbiamo detto: tu ci hai amati, noi confidiamo in te perché tu ci salvi, noi ti conosciamo perché tu ci conosci, noi ti riamiamo perché tu ci hai amato per primo.
Allora dice il volto del Cristo: “mi riconosci? Vuoi entrare dentro questa porta? Capisci che in Dio non c’è un giudizio supremo senza misericordia, ma che in Lui c’è un’immagine che ti riguarda e che questa immagine è quella che io porto, cioè l’immagine dell’uomo?”.
Dio è possibile, perché appare nella forma umana, Dio è conoscibile, perché parla come un uomo, Dio è incontrabile, perché viene a cercarmi là dove io mi ero perduto, dietro il peccato che ho commesso. Allora noi diremmo di fronte a questo aspetto della Trinità, che è il volto stesso del Figlio: “ma come facciamo noi ad eguagliarci a te? Tu sei il Figlio, tu sei anche stato un uomo come noi, tu sei l’uomo-Dio, e noi ci possiamo riconoscere, però quello che brilla in te, cioè la gloria, si offusca dentro la nostra esperienza. Perché vedo dentro di me questa chiamata alla gloria ma vedo anche questo ostacolo e il limite del mio peccato, la prigione in cui mi trovo, l’incapacità della mia logica di chiamarti, la difficoltà della mia preghiera di sollevarsi. Vedo il mio volto riflesso in te, Figlio di Dio, ma vedo anche la mia pochezza, la mia bassezza, la mia miseria che mi impedisce di entrare”. E come dice il salmo: “io sto qua, alla soglia della tua casa, e non riesco ad andare avanti”. Allora lo Spirito che viene in mio soccorso, e dalla Trinità santissima mi riconosce perché il Figlio mi ha amato, quello Spirito viene a rassicurarmi e a dirmi: “guarda che è possibile, io ti condurrò alla verità tutta intera [Gv 16,13], io prenderò tutto quello che il Figlio ti ha voluto concedere e te lo farò vivere, conoscere, praticare. Attraverso la mia presenza nella tua vita tu ti riscoprirai come un uguale a lui”. Questo è un prodigio: come faccio io, uomo, a scoprirmi come un uguale a lui? E’ lo Spirito che mi raggiunge, mi riprende dalla morte e mi dice: “guarda, gradualmente, attraverso la tua obbedienza, tu tornerai ad essere ciò per cui Dio ti ha chiamato”. Allora dice lo Spirito alla mia vita: “entra nella sofferenza, entra nell’accettazione del dolore e della vita, che è causa, purtroppo, di dolore, per i nostri peccati. Accettala, non la ripudiare, non la ricusare. Dentro questo tracciato troverai gli itinerari che ti porteranno fino alla divinità, perché sono itinerari di amicizia, di obbedienza, di relazione”.
Allora suggerisce lo Spirito del Padre al mio povero spirito di peccatore: “vuoi contemplare questa chiamata ad abitare nella Trinità divina? Allora abita la Trinità umana, cioè entra in relazione con l’altro e celebrala attraverso l’obbedienza, la sottomissione, la capacità, cioè, di vedere sempre nell’altro una chance, un’opportunità che non hai mai considerato. Io ti guardo così – dice Dio – guarda anche tu gli altri così. Io ti perdono sempre, perdona anche tu sempre! Io ti apro il mio cuore, aprilo anche tu! Io sono morto a causa del tuo peccato: non aver paura di morire a causa del peccato che c’è tra gli uomini.” Questa è una via possibile, praticabile. Tu dici: “Signore, ma io non ce la farò, una via che passa per la sofferenza mi repelle, mi crea difficoltà, mi impedisce”. Allora questo Spirito direbbe ancora alla mia vita: “guarda, che proprio nella contemplazione di questo progetto e nella capacità di accettare persino la tua morte, che comunque fa parte della tua natura umana, attraverso questo linguaggio tu comprenderai e sperimenterai la grazia di Dio”. Tu dirai ancora una volta: “Figlio di Dio, perché io ho meritato questo, io che ero peccatore? Spirito di Dio, come farò io ad accettare e ad accogliere questo progetto, questo invito, questo annuncio che tu fai al mio spirito?”. Ti direbbero allora il Figlio e lo Spirito: “noi ti abbiamo acquistato qualcosa che tu non avevi. Pur venendo da Dio, tu non possedevi la relazione con Lui. Io Figlio te l’ho acquistata, io Spirito te la ricordo, perché tu possa sempre viverla e celebrarla”. Questa relazione si chiama figliolanza. Tu non sei più il peccatore che pensavi, tu non sei più il lontano, tu non sei più schiacciato, tu non sei più schiacciato dal tuo limite, tu non sei più l’uomo che parla linguaggi che non possono entrare nella santità. Tu sei un figlio, sei cioè, come diceva san Paolo nella lettera ai Romani che abbiamo ascoltato stasera, erede [Rm 8,17] di questa gloria, sei chiamato a essere rivestito d’oro, come questo abito che io oggi porto, per ricordare a tutti gli uomini che nel servizio e nel sacrificio che Gesù fa sull’altare noi tutti siamo rivestiti, anzi sopravvestiti [2Cor 5,4]. Alla nostra natura umana ci è stata conferita una veste migliore: una natura divina, una realtà che non avremmo mai pensato di poter ottenere. Allora questa consapevolezza di essere figli ci fa tornare a guardare la storia senza più paura. Dirai con il salmo “per i miei fratelli e i miei amici io dirò «Su di te sia pace!»” [Sal 122,8], “Pace su Israele!” [Sal 125,25; Sal 128,6].
Quando avrai contemplato a cosa sei chiamato non odierai più, quando vedrai che sei chiamato alla santità non sarai più un arrivista, un carrierista, uno che passa sulla testa degli altri, ma sarai uno che si preoccupa che anche gli altri condividano con te questa grazia per raggiungere insieme a te questa gloria. Allora avrai reduplicato sulla terra quella relazione che hai contemplato in cielo, ricreerai nella storia quei rapporti che hai visto tra il Padre, il Figlio e lo Spirito. Ricondurrai la storia per mano fino a questo appuntamento con un Dio che proprio per conoscerti ha sposato la storia, quasi quasi, se si può dire, potremmo osare, è uscito dalla sua eternità per venire a parlare il linguaggio della nostra umanità. Tutto questo prodigio non è solo un’icona statica, ferma da qualche parte che qualche volta ci consola e qualche volta ci imbarazza. E’ una dinamica, come il fuoco divorante, come il fuoco del roveto ardente che brucia dentro la nostra vita, che ci spinge continuamente. Dì la verità, quante volte ti sei sentito peccatore e invece di cedere alla depressione e all’autocommiserazione ti sei sentito chiamato a rialzarti e a relazionarti ancora con l’uomo che hai offeso. Quante volte hai pensato di dover essere giudicato a causa delle tue azioni cattive, dei tuoi peccati, della tua incapacità, e ti sei sentito invece promosso a un’opportunità nuova. Quante volte hai registrato questa prossimità di Dio. Hai imparato così bene questa logica che ormai la tua preghiera è costantemente intrisa di questo profumo, costantemente ricomprata, rivestita da questa santità, costantemente consapevole della presenza dello Spirito.
Allora dice la Parola anche a te, attraverso la contemplazione dell’icona della Trinità questa sera: “adesso, se hai imparato questa logica, che per essere perdonato devi anche tu perdonare, che per essere amato devi anche tu amare, e hai scoperto, anzi, di essere stato amato per primo, va’ e battezza questa generazione. Falla entrare dentro la logica della possibilità, che è quella del Padre, del Figlio e dello Spirito, che è la logica anche della passione, morte e resurrezione, che è la logica che parla di Dio e riconduce a Lui. Ma soprattutto stùdiati di raccontare all’uomo di questa generazione che questa logica è praticabile, possibile, è una grammatica che tutti possono imparare e praticare: dalla famiglia, all’amicizia, al servizio verso i poveri, gli ammalati, i bisognosi, i carcerati e a tutte le relazioni. E’ una logica che ha veramente la capacità di cambiare tutto il mondo in cui ci troviamo. Sta’ attento, perché questo dono prezioso che Dio ha posto nel cuore della tua vita il demonio viene costantemente ad arraffarselo, mettendo nel tuo cuore il dubbio, il sospetto che questa società in cui ti trovi non sia una realtà possibile. Lascia parlare lo Spirito di Dio, non guardare né a destra né a sinistra [Dt 5,32; Dt 28,14; Pro 4,27], guarda davanti a te e lasciati condurre sulle orme del Cristo: incontrerai il Padre, ma soprattutto contemplerai faccia a faccia ciò per cui sei stato chiamato. Vedrai il tuo volto ridisegnato sul volto del Figlio e ringrazierai Dio per averti acquistato, per averti riscattato dalla morte e dal peccato.
Sia lodato Gesù Cristo.